Vino: calo produzione del 10%, persi 200 milioni 

Il gran caldo tra giugno e luglio penalizza la produzione delle 17 mila aziende vitivinicole laziali con la perdita di 80 mila ettolitri. 

bicchiere di vino

Per il secondo anno consecutivo le previsioni per la vendemmia nel Lazio sono negative. Le ultime stime di Unione italiana vini, Assoenologi e istituto Ismea ipotizzano un calo del 10 per cento, la stessa percentuale teorizzata e poi confermata nel 2020. Lo riporta il “Corriere della Sera” sentendo anche alcuni produttori alle prese anche con le rimanenze dovute al calo vendite durante il lockdown.

Qualora questo scenario si avverasse – scrive “Il Corriere della Sera” –  la perdita per le oltre 17 mila aziende vitivinicole del territorio ammonterebbe in tutto a 80 mila ettolitri, pari a circa 200 milioni di euro di fatturato.

Alle origini della contrazione c’è il clima torrido registrato a giugno e delle prime due decadi di luglio, mesi in cui le temperature hanno toccato il picco dei 42 gradi centigradi.

Ai danni prodotti dal grande caldo si aggiungono quelli della gelata registrata nella notte tra il 7 e l’8 aprile, che nelle province di Rieti e Viterbo ha colpito le uve precoci, facendo sprofondare le valutazioni fino al meno 30 percento. Non tutti, però, concordano su prospettive tanto pessimistiche.

L’associazione di categoria di Confagricoltura, ad esempio, crede che al segno meno seguirà una sola cifra anziché due. “Lo scorso anno c’è stata la vendemmia verde, una pratica che ha sottratto alla produzione migliaia di grappoli con lo scopo di aumentare il valore di quelli residui – ricorda il responsabile vinicolo. Luigi Caporicci -. Stavolta no e quei vigneti torneranno in attività. Inoltre credo che l’ammanco quantitativo verrà quantomeno pareggiato dalla qualità della lavorazione. Una strategia che andrà di pari passo con il rilancio delle esportazioni”.

Altro fronte aperto è quello della logistica. In molti casi i magazzini dovranno essere svuotati in tempi record dalle confezioni di annata 2019 rimaste invendute a causa delle chiusure di bar, ristoranti e alberghi.

“Tanti iscritti faticano ancora a smaltire le giacenze – spiega il presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori, Riccardo Milozzi -. Verosimilmente i vini bianchi avanzati verranno svenduti nell’auspicio di recuperare i mancati guadagni con un rincaro dei prezzi delle nuove bottiglie di un 5%. I rossi invece possono aspettare”.

Nel frattempo c’è già chi è corso ai ripari. Dal Vinoforum di Tor di Quinto, evento che da venerdì scorso fino a domenica prossima ospiterà 610 cantine, il proprietario dell’etichetta Casale del Giglio, Antonio Santarelli, svela la sua strategia per salvare la stagione.

“Contiamo di recuperare gli standard pre Covid potenziando la nostra attività di promozione attraverso la moltiplicazione dei banchi d’assaggio, per i quali abbiamo investito in dieci anni più di milioni e mezzo – afferma -. Sempre che il governo non imponga nuove chiusure per contenere gli effetti di una possibile quarta ondata”.

Nel dubbio c’è chi si sta preparando al peggio e ha già elaborato piani alternativi per supplire a ulteriori flessioni. È il caso della ditta familiare Casale Marchese di Frascati: «Scommettiamo sul servizio di consegna a domicilio che incentiva il cliente all’acquisto – spiega Ferdinando Carletti, che insieme al fratello Alessandro gestisce la società dei Castelli Romani -. Il 90% delle nostre scorte continua a essere venduto sul mercato locale».

Dall’inizio della pandemia “abbiamo perso il 40 per cento degli oltre 500 mila euro di ricavi – precisa – ma da gennaio stiamo lentamente recuperando con un ritmo di un 10% al mese. Un’altra chiusura però non ce la possiamo permettere”.

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