Tiburtina Valley: tramonta il sogno della Roma industriale

Le speranze della nascita di un grande polo di sviluppo sono naufragate in vent’anni di disorganizzazione e mancanza di infrastrutture. Dopo la grande crisi, resta un nome fortunato e piccole imprese che chiedono investimenti al Comune

C’era una volta la grande speranza industriale di Roma, la Tiburtina Valley. Ovvero quell’area intorno alla via Tiburtina, dove, nel corso dei decenni, in ossequio al piano regolatore degli anni Sessanta, si erano via via raccolte le piccole e medie imprese della Capitale.

Negli anni Novanta, questa struttura produttiva si era in gran parte convertita alla new economy, trainata dal polo industriale spaziale (Alenia-Telespazio) e dalla presenza, a Frascati, dell’Agenzia spaziale europea. Una serie di piccole imprese, perlopiù dell’indotto. La successiva installazione di importanti “incubatori” d’impresa tecnologici aveva consolidato questa tendenza: tra questi il Bic Lazio (laddove Bic sta per Business innovation center), la società della Regione Lazio che si occupa di creazione e sviluppo di impresa; e l’incubatore, inaugurato a fine 2006, all’interno del Tecnopolo Tiburtino.

Una grande promessa per Roma. Capace, nella “narrazione” (come si usa dire oggi) che se ne faceva, di imporre un’immagine della capitale che non fosse la solita, ovvero il trinomio costruzioni-commercio-turismo, che da sempre caratterizza l’attività produttiva dell’area.

A distanza di oltre vent’anni dalla coniazione (di chi il merito?) del fortunato nome di Tiburtina Valley (un rimando, o forse una scimmiottatura, della ben più importante Silicon Valley intorno a San Francisco, culla delle imprese tecnologiche e del web) che cosa rimane? Rimane un senso di vuoto e di incompletezza. Molte imprese che si erano installate sulla Tiburtina se ne sono andate, un po’ per la profonda crisi economica, un po’ per il mutato scenario che imponeva un drastico ridimensionamento della presenza: tra queste ultime, si pensi al dimagrimento di Leonardo-Finmeccanica, della Mbda (missilistica) e della Rheinmetal, il gruppo tedesco di armamenti; mentre prima la Finsiel poi la Telecom hanno abbandonato l’area.

Con il senno di poi, possiamo dire che “Tiburtina Valley” sia stata soprattutto un fortunato nome, i cui contenuti in nuce avevano bisogno di maggiori conferme sul campo. Chissà, se non ci fosse stata la grande crisi forse oggi ne parleremmo in modo diverso.

 

Un tessuto di piccole e medie imprese ancora resiste

In ogni caso, a prescindere dal polo elettronico-informatico-aerospaziale, da cui ci si aspettava di più, intorno alla Tiburtina resiste, nonostante tutto, una cintura di imprese di diverso tipo. Tutte piccole, anche piccolissime e al massimo medie. Ne citiamo soltanto alcune: Astaldi, Arti Grafiche, Centrale del Latte di Roma, Dab Sistemi Interati, Electron Italia, Elaborazione Dati Spa, Techno Sky, Poltrona Pizzetti (vedi elenco completo nel box a parte).

Resistere, per queste imprese, è il verbo giusto. Perché non si vive di solo business, ovvero il business deve essere incentivato e aiutato dalle infrastrutture, che qui sono ai minimi termini. L’ampliamento della Tiburtina, per renderla più grande e scorrevole, era stato deciso nel lontano 2003. Da allora ad oggi, ovvero quasi tre lustri dopo, i cantieri sono ancora aperti, i lavori sono in parte bloccati per contenziosi e fallimenti di società che avevano ricevuto l’incarico e, al momento, percorrere quest’importante arteria è più difficile che partecipare a una gimcana di paese.

Ma non è soltanto l’eterno cantiere della Tiburtina a preoccupare (e già basterebbe e avanzerebbe). La situazione delle infrastrutture è precaria in tutte le nervature laterali, lamentano gli industriali dell’area. Nelle strade laterali la situazione è di spaventoso degrado: mancano fognature, marciapiedi e spesso anche l’acqua, che alcune aziende sono costrette a portarsi da sole. Mentre le strade sono abbandonate a se stesse.

Nonostante tutto, e nonostante il tempo inutilmente perso, c’è ancora speranza. “Ma non viene dal Municipio, che ha scarse risorse ed è attento soprattutto alle problematiche sociali”, affermano, “è il Comune che dovrebbe investire con collegamenti, strade, servizi”.

Se la Tiburtina Valley è la principale area industriale di Roma, che ha già visto importanti gruppi stranieri investirvi, mentre è nata una cintura di piccole e medie imprese, è ora che l’amministrazione batta un colpo.

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