Condotte, si cercano soluzioni per evitare la bancarotta

Il 22 maggio incontro al Mise per decidere il destino dello storico gruppo di infrastrutture italiano con sede a Roma. Astorre del Pd sollecita una risposta delle istituzioni

Nuovo capitolo per la vicenda Condotte, il grande gruppo italiano di infrastrutture che minaccia la bancarotta se non si troverà una quadratura mettendo d’accordo la vecchia proprietà, possibili finanziatori esteri, eventuali contributi del Mise e di Cdp: Bruno Astorre, senatore in quota Pd, ha firmato un’interrogazione Parlamentare per rimuovere l’empasse che mette a rischio cantieri e commesse in Italia e all’estero, nonché il destino di 3 mila lavoratori a Roma e nelle altre sedi. La sensazione è che, se il Ministero dello Sviluppo non si attiva più concretamente e se i vecchi proprietari non accettano di mettersi da parte, una delle realtà romane e italiane più forti rischia la débâcle. La vicenda è nota agli italiani dopo l’arresto di sei manager il 13 marzo scorso. Quel giorno sono stati infatti arrestati Duccio Astaldi, presidente del consiglio di gestione di Condotte, Antonio D’Andrea ex presidente del consiglio di amministrazione della Cosige Scarl (società in cui Condotte partecipa al 70%) e l’ex capo della segretaria tecnica dell’ex governatore siciliano Rosario Crocetta, Stefano Polizzotto. La motivazione: una presunta tangente per i lavori di realizzazione di tre lotti dell’autostrada Siracusa-Gela. Ma la vicenda giudiziaria si aggiunge a una situazione di conti già compromessa.

Intanto c’è in ballo un concordato che sembra fatto apposta per scampare al fallimento visto che si andrebbe in qualche modo ad apparare la mole dei debiti accumulati (in parte forse dovuti alla gestione, in parte all’insolvenza dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni). Deciso dal Tribunale di Roma il 15 gennaio scorso, il concordato mette al riparo la proprietà da azioni aggressive da parte dei creditori e lascia il tempo per ristrutturazioni attraverso un nuovo piano industriale.

Oggi la società è in mano a Ferfina, holding controllata da Fimoven sas di Isabella Bruno Tolomei Frigerio e Duccio Astaldi, che ha in mano il 92,5% mentre un 2,5% è in mano a Pizzarotti, il 5% sono azioni proprie. Il concordato scatterà se la proprietà non presenterà un piano di risanamento entro il 18 maggio. Non è così semplice, del resto, appianare un indebitamento di due miliardi di euro a fronte di un patrimonio da 214 milioni di euro (dati consolidati 2016), di cui i crediti verso la Pa sono di 867 milioni di euro. Sul fronte dei debiti invece quelli relativi al comparto bancario sono di 767 milioni di euro mentre quelli verso i fornitori superano il miliardo di euro. Una delle possibili strade è la vendita, che i vertici vedono con il fumo agli occhi: Oxy Capital Italia, ad esempio, ha messo sul piatto cento milioni a patto di ridimensionare la holding dei coniugi Astaldi ma vorrebbe cambiare la governance con una newco per le attività core e una bad company con i crediti, i contenzioni e i debiti nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Intanto, a fine marzo, i lavoratori sono entrati in sciopero permanente, lamentando ritardi nei pagamenti delle retribuzioni, il fermo della produzione, il rischio cessazione dei contratti: nel mese di gennaio ne sono stati rescissi due in Norvegia con licenziamento di circa 250 operai. Nel mese di aprile è andato in fumo un lavoro in Polonia mentre è mancata l’aggiudicazione di un altro progetto ferroviario in Romania, infine è a rischio una commessa di oltre 300 milioni di euro in Kuwait. E dove la Società era presente in partecipazione con altri partner industriali – il ponte Storstrom in Danimarca, il tunnel del Brennero, l’Alta Velocità nel lotto Brescia-Verona – è stata ridotta la quota allo 0,01% con possibilità di ripristino delle quote originali solo se uscirà dalla crisi in cui si trova.

Nel frattempo, su sollecito dei sindacati, si è mosso anche il Ministero dello Sviluppo Economico: Il 29 marzo al Mise è emersa in via ufficiale la disponibilità del fondo Oxy di offrire un finanziamento d’urgenza che servirà a traghettare l’azienda in questo periodo di difficoltà economica per sostenere la continuità delle attività sia in Italia che all’estero.

In un incontro successivo Condotte ha chiesto poi la proroga di due mesi rispetto alla scadenza del 18 maggio, per via della trattativa ancora in corso con Oxy, preoccupata del progetto industriale, delle garanzie, del ruolo delle banche creditrici, del destino dei lavoratori. Un quarto attore è la Cassa Depositi e Prestiti, che mettendo il suo contributo sulla bilancia, potrebbe fare la differenza come già avvenuto per la Trevi Spa. E così non resta che aspettare il prossimo incontro con il ministero fissato per il 22 maggio, quando si saprà se la proroga per la presentazione di una proposta di concordato sarà stata concessa o meno.

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