Una luna chiamata Europa, presentato a Cannes nel 2017, è l’ultimo film di Kornél Mundruczó, il giovane regista ungherese che porta sullo schermo il dramma dei rifugiati, ma visto con un’ottica fantasy thriller totalmente diversa.
Una luna chiamata Europa, titolo originale Jupiter Holdja, si apre con una premessa: una delle 67 lune conosciute di Giove si chiama Europa. A scoprirla è stato Galileo Galilei nel 1610, il fisico italiano ne scoprì quattro, ma Europa ha un mare salato sotto la superficie ghiacciata e potrebbe dare origine a nuove forme di vita.
Aryan è un giovane siriano, che insieme al padre, attraversa il confine serbo e arriva in Ungheria per andare in Germania. Aryan perde di vista il padre e viene ferito da un agente della polizia ungherese, sopravvissuto scopre di essere in grado di levitare. In un campo per rifugiati, conosce il dottor Stern che lo prende sotto la sua “ala” protettiva e lo porta a Budapest, dove Aryan forse incontrerà il padre.
Con il volo di Aryan, Mundruzcó riprende alcune tematiche già toccate nei suoi precedenti film e parla del dramma dell’immigrazione e dell’Ungheria e dell’Europa di oggi, divisa fra il dramma di migranti, l’ascesa della destra xenofoba e gli attentati terroristici legati all’odio crescente e dilagante.
“Abbiamo discusso a lungo per capire se il soggetto dei rifugiati non fosse diventato troppo attuale, siccome tendo a rifuggire da narrazioni ideologiche che si inscrivono nell’attualità bruciante. Credo piuttosto nell’idea di un’arte classica, che agisce come l’acqua sul cemento: consumandolo e sgretolandolo. Ai miei occhi, l’arte fondata su fatti reali e opinioni politiche è meno interessante, per cui, quando siamo tornati a lavorare alla sceneggiatura, abbiamo cercato di prendere un po’ di distanza tanto a livello della narrazione quanto del linguaggio del film”, ha chiarito il regista nelle note.
Gabor Stern, il medico che si prende cura di Aryan e sfrutta anche il suo dono, accoglie il giovane siriano a casa sua, i due parlano dei loro sogni, delle loro aspirazioni, in uno scambio di battute fra i due, Stern dice: “Non c’è un posto sicuro per la gente nella storia”. L’unica speranza e salvezza per Aryan è volare, il suo levitare è una metafora che assume ulteriori significati: c’è un richiamo alla religione o alla purezza di un angelo e negli sguardi degli abitanti della capitale ungherese intenti a guardare il miracolo c’è tutta la magia del bello ultimo film del regista ungherese.
“Con il passare del tempo, mi pongo sempre più domande a proposito della fede. In un certo senso ho sempre pensato che esista una fede più grande, totale e universale, al di là di quella relativa dettata da una cultura e da un determinato periodo; una fede che possa avere un impatto su tutti, specialmente in un’epoca in cui sembriamo voler regolare i nostri conti con la religione tradizionale, o con Dio. Invece, siamo classificati in base ai soldi e al successo, secondo l’onnipresente Dio del populismo e dell’immediata soddisfazione”.
La magia del film del regista ungherese è arricchita dalla fotografia di Marcell Rév e dalla colonna sonora di Jed Kurzel oltre che da un’ottima interpretazione dei due protagonisti.
Una luna chiamata Europa è un thriller fantastico che fa rivivere allo spettatore tutto l’orrore del nostro quotidiano sotto gli occhi sognanti di Aryan, interpretato da Zsombor Jéger: un giovane siriano che ha lasciato tutto dietro di sé e che sogna solo di mangiare un piatto di patatine fritte. Un sogno chiamato Europa.