Una Notte di 12 Anni, il (bellissimo) film sulla prigionia di Mujica al cinema

Dopo aver incantato Venezia arriva finalmente in sala l’ultimo lungometraggio di Álvaro Brechner con Alfonso Tort, Antonio De La Torre e Chino Darín

Una Notte di 12 anni, Antonio De La Torre in una scena del film sui 12 anni di prigionia di Pepe Mujica, Eleuterio Fernández Huidobro e Mauricio Rosencof. Al cinema da oggi a Roma e al 10 gennaio nei cinema italiani

Una Notte di 12 Anni arriva finalmente in sala, il film di Álvaro Brechner era in programma a Orizzonti all’ultimo Festival di Venezia e aveva stregato il pubblico e la critica al Lido. Al centro del film i 12 anni di prigionia di Pepe Mujica (Antonio De La Torre), il poeta Mauricio Rosencof (Chino Darín) e il futuro ministro Eleuterio Fernández Huidobro (Alfonso Tort).

A Venezia, il film è stato accolto da 25 minuti di applausi e a presentarla c’erano due dei tre protagonisti, lo spagnolo Antonio De La Torre e l’uruguaiano Alfonso Tort insieme al regista Álvaro Brechner che è tornato in Italia per parlare del film a Roma. Dopo il passaggio a Venezia, il film è stato presentato in altri festival, l’ultimo quello del Cairo, Brechner non si aspettava il successo del suo film:

Una Notte di 12 Anni ci riporta nell’Uruguay del 1973, il Paese era sotto la dittatura militare e nove Tupamaro vengono fatti prigionieri dai militari e resteranno in isolamento per 12 anni. Brechner racconta la loro prigionia, la loro solitudine, la loro condizione di isolamento senza mai cadere nei dettami del classico biopic. 

“Per me era importante andare oltre gli accadimenti politici e storici dell’epoca, è stata una sfida – spiega Brechner – l’essenza del film per me era il viaggio esistenziale di ogni individuo per conservare il proprio spirito e la condizione umana”.

“Da attore, la situazione politica aveva il suo peso. Ogni film è politico, in questo caso il contesto socio-politico era già dato – spiega l’attore uruguaiano Alfonso Tort – e come ha detto Álvaro ci siamo concentrati di più sulla verità umana di quello che stavamo attraversando, definito dal regista viaggio, la sopravvivenza di ognuno dei tre”.

Sono in pochi a sapere il calvario che ha vissuto l’ex presidente dell’Uruguay raccontato nel film di Brechner:

“Abbiamo lavorato a questo progetto per moltissimi anni e abbiamo intervistato i tre superstiti, anche lo stesso Mujica, con molte altre persone per interpretare l’idea del viaggio individuale ed esistenziale che hanno compiuto per mantenersi vivi, per tenere in vita le facoltà mentali e la loro libertà, fondamentali per superare queste circostanze”. 

Dei tre protagonisti solo Rosencof e Mujica sono riusciti a vedere il film:

“Per me è stato importante mostrarglielo anche se non completo, sfortunatamente Huidobro è scomparso prima di poterlo vedere. Vedere il film con loro per noi è stato molto emozionante, ma sono loro che devono parlarne”.

“Parlando di rispetto: loro hanno vissuto tutto sul serio – aggiunge Tort – come artisti abbiamo lavorato con il loro vissuto reale, mentre hanno la percezione reale di quello è successo”. 

Per spiegare l’esperienza vissuta dai tre protagonisti del film il regista ha citato una frase dello psichiatra austriaco Viktor Frankl sopravvissuto all’Olocausto:

“C’è una frase in Alla ricerca di un significato della vita in cui dice che è molto difficile parlare dei sopravvissuti della loro esperienza perché chi ci è stato non ha nulla da raccontare e chi non c’è mai stato non lo capirebbe. Bisogna partire da quest’umiltà, responsabilità e onestà per parlare di loro, Mujica stesso ha detto che è difficile per lui parlarne perché le ha vissute ed è è comunque legato alla soggettività. Non voglio che questo film sia una ricreazione del passato, ma che sia una scommessa cinematografica sui pericoli dell’umanità, su quella cosa spaventosa e meravigliosa che chiamiamo condizione umana”. 

Antonio De La Torre, uno degli attori migliori del cinema spagnolo interpreta Pepe Mujica:

“L’ho conosciuto, sono andato varie volte in Uruguay per capire il loro accento e la loro cultura e in due occasioni ho visto Pepe, siamo stati molto tempo a parlare insieme ad Álvaro. Mi ha colpito la totale assenza di vanità e ha appoggiato il film per la sua causa: perché racconta la storia di superamento e della lotta, ma non perché parla di lui. Mi ha colpito la sua relazione stoica al dolore, non si è lasciato andare alla colpa o alla compassione. Penso che sia sopravvissuto per questo motivo, mi è parso una persona con un’altissima levatura morale, non voglio parlarne troppo perché ancora non mi sento all’altezza di averlo interpretato. Álvaro ha visto il film con lui e gli ha detto che si preoccupava di come fossero stati raccontati i suoi compagni anonimi che erano caduti in un lungometraggio che parla di lui, una cosa che mi ha commosso”.

Come si sono preparati i due attori a vivere e a riportare sullo schermo l’isolamento dei tre protagonisti? 

“È molto difficile riprodurre qualcosa di così estremo – spiega Alfonso Fort – nel mio caso la dieta mi ha aiutato. Non mangiare per quattro mesi, il contesto socio-politico (che mi era già chiaro essendo uruguaiano), gli incontri con i Tupamaro e con uno psichiatra ci aveva spiegato che una persona rinchiusa in uno spazio piccolo dopo due minuti inizia a delirare. Era difficile andare sul set e lavorare, le riprese sono state molto intense per tutti, questo è aumentato durante le riprese. In una situazione del genere… lavori con follia”.

Nove Tupamaro erano stati presi ostaggio dai militari, divisi in gruppi di tre, fra di loro anche Henry Engler, De La Torre l’ha incontrato:

“Era il direttore del centro uruguaiano per la ricerca neurologica, candidato al Premio Nobel, ha avuto un’esperienza talmente legata alla follia che ha iniziato a visualizzare un circolo. C’è un documentario, El Círculo, che ne parla: sentiva voci di donne, uomini ed extraterrestri; decise di mangiare meno per fermare l’attività celebrale e mangiò latte in polvere e un biscotto al giorno. Paragonare come noi l’abbiamo vissuto è Disneyland”.

L’attore spagnolo con Engler ha anche parlato della follia in questi casi, e nel film Pepe Mujica è vittima di moltissime allucinazioni:

“Un po’ come la Caverna di Platone, gli ho chiesto, in quanto uomo scientifico, perché s’impazzisce e mi ha risposto: l’uomo necessita stimoli, se non li ha, li crea. Lui è tornato da questo molto religioso, ho avuto poche persone davanti a me così lucide come Engler! Salutandomi mi ha detto: mi piacciono le persone che prendono seriamente il proprio lavoro. Racconto quest’aneddoto perché abbiamo la fortuna di aver lavorato con un regista pazzesco: in una sequenza c’era scritto solo Pepe Mujica inizia a sentire voci e ha tagliato dopo 33 minuti!”.

“Il film doveva essere profondamente reale – specifica Brechner – con tutti i nostri limiti, dovevamo parlare della mancanza di stimoli, del silenzio, volevamo creare questa realtà e metterla nella telecamera”.

La Notte dei 12 Anni non è un film sulla dittatura, come ha sottolineato Brechner:

“Sono nato nel 1976, non è un film sulla dittatura, è un dibattito esistenziale, un’esperienza psicologica, un viaggio al cuore delle tenebre, l’oscura che è la condizione umana. La dittatura è terminata quando avevo nove anni, tutti sappiamo cosa è successo ma il film non parla di questo. Un buon film ha al suo interno letture totalmente diverse, La Notte dei 12 Anni si occupa di altro, ma questo non vuol dire che non è importante”. 

A Venezia, Pepe Mujica era stato protagonista anche di un documentario firmato da Emir Kusturica, El Pepe Una Vida Suprema:

“Suppongo che ci sia un interesse rinnovato su Mujica, nel film siamo rimasti molto fedeli dall’onestà intellettuale di tutte le persone che hanno preso parte al progetto. Come ha detto Antonio, Mujica voleva che parlassimo degli altri coinvolti nella storia. Il film è su tre persone, tre compagni che hanno vissuto questi anni anche separati, infatti in Francia il titolo sarà Compañeros. Mujica è una personalità mondiale, ognuno ha la propria idea a riguardo, è un film che parla di anni molto duri per tutti e tre”.

La Notte dei 12 Anni è già uscito in Uruguay, Argentina e Spagna, dove il film è stato girato:

“Le riprese sono durate 5 settimane, tre in Spagna e due in Uruguay, a Madrid, Segovia e Pamplona: qui abbiamo girato in un carcere della Guerra Civile. Era un posto molto particolare, dove furono imprigionate persone poi fucilate. Il luogo in sé aveva questa densità: abbiamo usato celle reali e ne abbiamo costruito altre, abbiamo usato luoghi inospitali usati per la raccolta dell’acqua, faceva moltissimo freddo nelle montagne. Quello del poster e del patio si trova a Segovia”.

Uno dei momenti più commuoventi del film è legato alla voce di Silvia Pérez Cruz, la cantante spagnola che esegue una cover di The Sound of Silence:

“Ero in un bar e scrivevo la sceneggiatura quando ho sentito la canzone, la cantavo perché avevo poca voglia di lavorare e mi sono soffermato sul testo – spiega Brechner – era perfetto per il film, le parole avevano attinenza con quello che stavo scrivendo: è una canzone sul potere della luce e del silenzio, come rivelazione interiore, in opposizione all’oscurità. Quella di Silvia, che nel film interpreta la compagna di Huidobro, è una delle voci più belle e importanti della musica spagnola, la canzone è un tema della lotta alla disumanizzazione e alla possibilità di trovare la luce nell’oscurità”.

Nel film, profondamente violento nel raccontare una condizione di profonda mancanza di umanità, anche alcuni gesti “umani” da parte dei soldati, come scrivere una lettera d’amore o far ascoltare il risultato di una partita di calcio:

“I tre personaggi non hanno avuto desiderio di vendetta, non ho dato nomi precisi ai militari, ma moltissimi soldati semplici hanno rischiato tutto per dare un pezzo di pane agli ostaggi o per alzare il volume della radio per far ascoltare loro le partite di calcio. Una partita serviva a loro per uscire dalle circostanze, questi soldati hanno mostrato delle scintille di umanità, delle piccole voci per andare avanti”.

L’attore uruguiano Alfonso Tort, forse il più intenso fra i tre protagonisti, ha parlato della sua generazione, cresciuta post-dittatura:

“Ho 40 anni e sono nato nel 1978 in piena dittatura, la mia generazione fa i conti con questo e vive di ricordi, è un tema molto delicato: un dibattito al quale manca prospettiva. Sono cresciuto con tutto questo, la mia è una generazione che vuole saperne di più, è un dibattito che andrebbe approfondito oltre la posizione politica ed emotiva, bisogna continuare a chiedersi perché”. 

L’Uruguay, dove ci saranno le elezioni nel prossimo novembre, vive un periodo molto particolare:

“Il Paese sta attraversando un momento storico simile al resto dell’America Latina, Mujica è un personaggio amato e non, forse perché la ferita della dittatura non si è cicatrizzata, c’è un dibattito ancora in corso. Mujica si è ritirato dalla vita politica Quello che gli è successo è epico, tutto il gruppo di questi eroi sono tutti finiti al governo, Ñato è diventato il capo di chi li aveva torturati: è folle e schizofrenico, ma è successo… è epico! Ho seguito la sceneggiatura, tutti ricordiamo l’angoscia del film, ma ci lasciavamo tutto alle spalle, ti servivano solo pennellate per definire il ruolo, adesso però voglio fare una commedia romantica!”

Delicato, commuovente, toccante, Una Notte di 12 Anni è un inno alla vita e alla forza di spirito umana, alla resistenza realizzato in modo ottimo. Storie che non dobbiamo cessare di raccontare, il film esce oggi in sala a Roma, Álvaro Brechner saluterà il pubblico al Tibur e al Mignon, nel resto d’Italia dal 10 gennaio distribuito da BIM e Movies Inspired.

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