Carceri Lazio: aggressioni, suicidi e sovraffollamento, dopo Covid torna allarme

Nella regione, da gennaio, si sono tolti la vita 7 detenuti, di cui 4 soltanto a Regina Coeli

Le carceri di Roma e del Lazio stanno tornando ad essere quelle polveriere che erano prima del Covid. Secondo Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio “quelle tensioni che c’erano negli istituti laziali prima della pandemia, sopite poi dalla paura del contagio, stanno riemergendo, con il sovraffollamento che torna a preoccupare”. Infatti, si registra un aumento delle aggressioni tra gli stessi detenuti e contro gli agenti della penitenziaria. Inoltre i dati sui suicidi sono già allarmanti: “in Italia, ad oggi, quando mancano ancora tre mesi alla fine dell’anno, sono stati già 70 i morti, ben oltre i 60 che costituivano la media degli anni precedenti”, ha spiegato Anastasia. Nella regione, da gennaio, si sono tolti la vita 7 detenuti, di cui 4 soltanto a Regina Coeli. “La particolarità del dato del carcere romano sta nel fatto che – ha precisato Anastasia – Regina Coeli è un istituto che accoglie detenuti spesso appena arrestati, quindi che affrontano la condizione della privata libertà, dei nuovi rapporti con i familiari e con l’ambiente carcerario, oltre alle delusioni processuali”.

Il Covid, inoltre, aveva attutito anche il problema dell’affollamento. “Minor numero di arresti” dovuti al lockdown, e “adozione di maggiori misure alternative alla detenzione” quali gli arresti domiciliari “avevano ridotto di molto il numero dei detenuti in esubero”. Fatto costante il numero di 5.242 posti previsti nelle strutture laziali, a Gennaio 2019 c’erano 1.278 esuberi. Numero quasi azzerato nel 2020, ma che è tornato a crescere e, al 30 settembre 2022 ha fatto registrare già 682 esuberi di cui 450 solo negli istituti romani. Resta fermo, invece, il numero del personale che si occupa della sicurezza delle carceri e dei sevizi ai detenuti. Questo è causa, anche secondo i sindacati che rappresentano gli agenti della polizia penitenziaria, dei continui gesti di violenza. Sicuramente anche per questo, domani, il capo dipartimento della polizia penitenziaria Carlo Renoldi farà visita al carcere di Rebibbia. Negli istituti laziali, nel primo semestre 2022 sono stati contati 418 colluttazioni che hanno provocato 103 feriti (tra detenuti e agenti); di questi numeri, 333 colluttazioni e 69 feriti sono stati contati nelle carceri della Capitale e la previsione per il secondo semestre sembra anche peggiore. “A livello nazionale mancano 4mila unità di polizia penitenziari, a Roma ne mancano 400. Un solo agente deve vigilare oltre 300 detenuti che stazionano su piani e ambienti diversi, ovviamente questo comporta un minor controllo e una maggiore libertà per il detenuto di litigare o compiere aggressioni – ha aggiunto Massimo Costantino Segretario generale Cisl Fns Lazio -. Gli istituti sono sicuri e controllati dal punto di vista delle possibili evasioni, ma all’interno, la mancanza di personale che si occupa dei servizi, dai mediatori culturali, agli assistenti sociali, ai docenti ed educatori o al numero limitato di agenti che non permette lo svolgimento di attività, fa aumentare la tensione”.

Dello stesso avviso è Maurizio Somma segretario regionale per il Lazio del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe): “la mancanza di personale, il sovraffollamento, l’impunità e una politica molto più garantista di quella che ci dovrebbe essere nelle carceri, favorisce le aggressioni”. L’ultima proprio ieri nel carcere di Civitavecchia “dove un agente è stato colpito con un pugno al collo da un detenuto soggetto psichiatrico”. Una lunga sfilza di episodi che si ripetono con cadenza quasi quotidiana ma che, in questo caso, solleva anche il problema dei soggetti psichiatrici che, pur non essendo compatibili con il regime carcerario, sono comunque detenuti. “Dovrebbero essere invece ricoverati nelle Rems (residenze per le esecuzioni delle misure di sicurezza) ma che per mancanza di posti – hanno sottolineato i sindacalisti – vengono mantenuti nel carcere come detenuti ordinari e, nonostante le loro patologie, sono associati ad altri detenuti creando situazioni di pericolo per loro, per agli altri”. Alle Rems “devono essere destinati esclusivamente coloro che sono considerati dai tribunali, non giudicabili”, ha concluso il garante dei detenuti del Lazio il quale, però, in buona sostanza è d’accordo sul fatto che un soggetto psichiatrico, non può stare in carcere “lo dice la cassazione”.

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