Il primo maggio dell’anno scorso era un week end di festa e di gite. Anche per chi era rimasto in Città c’erano tante proposte interessanti. In via Margutta era un gran via vai di gente attirata anche dalla classica Mostra dei Cento Pittori.
Ma dietro a tanta allegria e ai colori dei quadri degli artisti accadeva l’ennesimo FEMMINICIDIO. Francesco Carrieri, direttore di banca di 56 anni, al culmine di una lite si accanisce sulla compagna e con un manubrio da palestra la uccide sul colpo. Lei si chiamava Michela Di Pompeo, insegnante molto amata della Deutsche Schule (una delle più prestigiose della Capitale). Un duro colpo per il cuore di Roma che per tutti è una meta obbligata e custodisce ancora il vero sapore della Capitale.
Per giorni e giorni davanti al portoncino di quella casa si rinnovavano: fiori, bigliettini e peluche. Sempre presenti, commossi fino alle lacrime e seduti a terra gli studenti di Michela.
Ora a distanza di sedici mesi da quel’ennesimo femminicidio è arrivata la sentenza a 30 anni di carcere per Francesco Carrieri. Il gup Elvira Tamburelli ha accolto la richiesta della Procura, al termine di un processo svolto con rito abbreviato, disponendo il sequestro dei conti correnti dell’uomo e del tfr in vista della decisione del giudice civile che dovrà stabilire il risarcimento in favore dei familiari della donna. Per questa vicenda la Procura, nei mesi scorsi, aveva chiesto per l’uomo 12 anni di carcere riconoscendogli la semi infermità mentale.
Il gup, accogliendo una richiesta della parte civile, ha però disposto una perizia psichiatrica in base alla quale Carrieri è stato riconosciuto capace di intendere e di volere al momento del fatto. Secondo i periti, l’imputato “è affetto da disturbo bipolare attualmente in fase di buon compenso psicofarmacologico. Al momento dei fatti oggetto del procedimento era capace di intendere e di volere”. L’uomo dopo l’arresto ammise di avere colpito Michela al culmine di una lite scaturita dal suo timore di essere lasciato. Nella perizia l’imputato ha ricostruito le fasi precedenti all’azione omicida. “Quella sera eravamo rientrati da un week end fuori. Presi il suo telefono per vedere i messaggi, era la prima volta che le controllavo il telefono forse era successo una volta, lo avevo fatto per leggere cosa diceva della mia malattia con le sue amiche, qual’era il giudizio nei miei confronti, non ho trovato niente d’importante”. E ancora: “alle 5 del mattino la svegliai, le dissi che non volevo tornare al lavoro e ci fu una lite perché lei voleva che tornassi al lavoro. Io dicevo tra me e me: “io non sono un assassino” ma invece l’ho colpita. Poi non sapevo se era viva o morta e sono andato dai carabinieri a costituirmi. Son so perché le ho fatto del male ho rovinato la sua vita e la vita di tutti“.
Dopo 16 mesi le persiane di quell’appartamento, in affitto, sono ancora chiuse. Fiori e orsetti spariti.