Iran: Alessia si trova nel carcere dei prigionieri politici. Chi è l’uomo che l’ha aiutata con il visto?

Negli ultimi giorni prima dell'arresto quelle sbarre erano diventate un presagio che, nei suoi messaggi social, si avvicinava sempre di più: post che non sono passati inosservati a chi dall'inizio monitora le proteste scaturite dall'uccisione di Mahsa Amini. E proprio quelle parole sui social potrebbero aver rappresentato il pretesto per chi a Teheran punta a politicizzare la vicenda, a prescindere dalle responsabilità e dalle circostanze che hanno determinato l'arresto. Di Alessia come di altri stranieri

Un'immagine di Alessia Piperno in Pakistan dal suo profilo Instagram

Detenuta da una settimana nel carcere di Teheran, tra i dissidenti del governo iraniano. Alessia Piperno è in una cella dell‘istituto penitenziario di Evin tra i prigionieri politici, diventato il drammatico capolinea di un viaggio che la travel blogger romana non avrebbe mai immaginato potesse interrompersi così.

Negli ultimi giorni prima dell’arresto però quelle sbarre erano diventate un presagio che, nei suoi messaggi social, si avvicinava sempre di più: post che non sono passati inosservati a chi dall’inizio monitora le proteste scaturite dall’uccisione di Mahsa Amini. E proprio quelle parole sui social potrebbero aver rappresentato il pretesto per chi a Teheran punta a politicizzare la vicenda, a prescindere dalle responsabilità e dalle circostanze che hanno determinato l’arresto. Di Alessia come di altri stranieri. Ed è su queste ultime circostanze che si sta cercando di far luce, per aprire uno spiraglio alla liberazione di Alessia attraverso una soluzione diplomatica a cui la Farnesina sta lavorando: la più rapida sembra l’espulsione dall’Iran.

La giovane viaggiatrice, che era entrata regolarmente nel paese dove soggiornava già da due mesi e mezzo, era stata fermata a causa di problemi con il visto? Oppure perché nel suo ostello si era rifugiato chi era tra le fila delle proteste studentesche di queste settimane? Si può escludere che la sua presenza possa aver suscitato diffidenze in qualche agente a caccia di ‘sobillatori’ stranieri? Le uniche tracce, non sufficienti a dare risposte, restano nei suoi appunti di viaggio e nei suoi spostamenti.

È certo che Alessia abbia trascorso un periodo anche nel Kurdistan iraniano, una zona che viene costantemente monitorata per via delle istanze anti regime e dove una donna straniera non passa certo inosservata. La situazione comincia a complicarsi dal 14 settembre, data di scadenza del visto di soggiorno della blogger, come confermava lei stessa in un post, intenzionata a tornare in Pakistan ma impossibilitata per il permesso non ancora arrivato: “Mi sta dicendo malissimo in Iran – scriveva – non c’è affinità perché viaggiare qui per una donna sola non è semplice anche se non ho mai avuto paura. Me ne voglio andare, anche se mi stanno cacciando loro… Sono andata a chiedere di rinnovare il visto, non mi hanno nemmeno guardata in faccia e mi hanno detto solo rejected, richiesta respinta, quindi entro mercoledì me ne devo andare”. Aveva cercato un bus ma per via di una festività i pullman erano tutti bloccati. Poi – racconta nel suo diario – “mentre camminavo disperata per la stazione, un signore dolcissimo che parlava inglese mi ha chiesto se mi serviva una mano. Gli ho spiegato il problema del visto, lui mi ha detto di stare tranquilla: ‘domani andiamo insieme all’ufficio e ti aiuto io a farti rinnovare il visto'”.

E così, in attesa del lasciapassare dal Pakistan, Alessia Piperno aveva ottenuto di restare fino a metà ottobre ancora in Iran, dove raccontava su Instagram delle manifestazioni di piazza e di come un giorno nel suo ostello erano arrivate alcune persone per chiedere loro aiuto, spaventati dagli scontri. Chi era la persona che l’ha aiutata con il visto? Il 28 settembre la situazione precipita. Scatta l’arresto e il trasferimento ad Evin: un carcere tristemente conosciuto per i suoi metodi particolarmente crudeli attraverso le diverse testimonianze dei fuoriusciti, che parlano di esecuzioni – molte finte e messe in atto per fare pressioni psicologiche sui prigionieri – pestaggi e torture.

Chi conosce quel carcere spiega che l’istituto è diviso in tre strutture: una è per i detenuti comuni, un’altra è nelle mani dell’intelligence iraniana, che è direttamente collegata alla ‘sezione 209’, specifica per quei detenuti politici, anche stranieri, che vengono arrestati. Quest’ultima in queste settimane è molto affollata a causa degli arresti dovuti alle agitazioni scatenate dopo la morte di Mahsa Amini, arrestata per non aver indossato correttamente il velo. Proteste che la magistratura in Iran promette di fermare duramente, con punizioni esemplari per i “mercenari” al servizio di interessi stranieri che aizzano i manifestanti. In Italia, chi lavora sotto traccia alla liberazione, ribadisce la necessità di mantenere il riserbo sull’intera vicenda, per evitare di compromettere i tentativi per riportare in Italia la blogger.

Anche gli amici di Alessia chiedono il silenzio con la speranza di rivederla il più presto possibile. “Non crediamo che avrebbe voluto leggere commenti beceri e ignoranti sotto agli articoli in cui si parla della sua vicenda – aggiungono – . Purtroppo l’odio che trasuda da questi commenti è lo stesso che c’era stato per il caso di Silvia Romano”. (di Lorenzo Attianese per Ansa)

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