La diga della tragedia, Vajont 9 ottobre 1963

60 anni dal 9 ottobre 1963 e dalla tragedia del Vajont. Più di 2000 morti vittime di interessi privati e dall'incosciente ignoranza della realtà idrogeologica dei luoghi. Impegnamoci tutti perchè niente di simile possa, di nuovo accadere

Oggi la diga del Vajont è ancora in piedi. Svuotata di tutta l’acqua conserva al suo interno la maledetta frana di circa 270 milioni di metri cubi di roccia precipitati nell’invaso a 100 km/h.

E’ la sera del 9 ottobre 1963, sono le 22,39. In TV c’è la finale di Coppa dei Campioni e molti abitanti dei paesi che si trovavano sotto e intorno alla diga sono davanti allo schermo. Improvviso il boato e l’onda alta circa 250 metri spazza via tutto. Muoiono più di 2000 persone e molte non verranno mai trovate.

Il Monte Toc (marcio, sfatto, in dialetto) mantiene fede al suo nome e alla realtà che tutti sapevano ma che nessuno dei tecnici volle ascoltare e lasciò andare l’immenso distacco. Quelle sono montagne a rischio idrogeologico e sismico molto alto e lo sanno bene e da sempre i paesi del fondovalle.

La sera del 9 ottobre del 1963 alle 22,39, Longarone, Erto, Casso e piccoli nuclei sparsi di colpo non esistono più. Non esiste più nulla, spariti i boschi, i prati, le coltivazioni. Solo fango. E silenzio. Il buio e la melma impediscono soccorsi immediati che arrivano la mattina dopo. Con la luce arriva l’orrore e la devastazione.

Nel 1929 la Valle del Vajont fu ritenuta, da 2 studiosi, idonea per la costruzione di una diga. Il progetto della ditta SADE fu approvato, in modo fraudolento, nel 1943. Nel 1957 iniziarono i lavori che terminarono nel 1959. In tutti quegli anni da più parti si alzavano voci contrarie alla costruzione della diga.

Secondo una leggenda locale, la cittadina di Erto era destinata ad avere un periodo di prosperità, per poi sparire negli abissi di un lago. Ma non si trattava solo di antiche leggende: gli abitanti di Erto e Casso continuavano a percepire i segni ed i rumori di una frana imminente, e fino al 1963 non smisero mai di manifestare i propri timori.

La Diga, inizialmente, fu motivo di orgoglio per l’ingegneria italiana e per la nazione tutta. Ma con la tragedia svelò quanto fosse stata deleteria la corsa cieca alla modernità e al progresso.

Poco dopo il termine dell’opera la stessa SADE verificò la presenza di una paleofrana sul Monte Toc e allarmata dalla fragilità della montagna commissionò nuove perizie. Sempre la SADE continuò a commissionare nuovi test: nel 1962 viene stabilito che la riserva d’acqua si trova in un’area a rischio, e che non dovrà superare il livello di 700 metri sopra il livello del mare. Sempre nel 1962 la proprietà passa allo Stato e subito si manifestano chiaramente nuovi scivolamenti dalle pareti del Monte Toc.

Partono le inchieste e le istruttorie fino ad arrivare al processo che inizia il 26 giugno 1968. Più avanti, in sede di esame dei fatti, si individuerà la responsabilità del disastro in alcuni dirigenti del settore elettrico: nonostante il disastro fosse prevedibile, a causa di interessi privati, la gigantesca diga era stata costruita ed utilizzata in un territorio ad altissimo rischio di frane e fenomeni sismici. Le pene, per gli imputati ancora presenti, ci furono ma talmente ingiuste, miti e inadeguate alla catastrofe che, ancora oggi, ci fanno disgustano.

Nel febbraio del 2008 le Nazioni Unite hanno descritto la tragedia del Vajont come “il primo di 10 eventi disastrosi causati dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e dal fallimento di ingegneri e geologi”. Ecco, proprio a causa della scarsa comprensione e rispetto della nostra terra, l’Italia continua a piangere su tragedie previste e prevedibili e su centinaia di nuove tombe. Questo non deve mai più avvenire perchè è mostruoso pensare che dai precedenti disastri nulla si sia imparato e che le nostre vite siano in balia di inqualificabili interessi e di totale superficialità

Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”. Dino Buzzati

(foto da RaiPlay “Vajont una tragedia Italiana”

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