Rischia di aggravarsi la posizione dei tre sanitari – un medico, un anestesista e una infermiera -, indagati per omicidio colposo per la morte di una 47enne deceduta in ospedale dopo un intervento di liposuzione in uno studio privato. I pm di Roma stanno, infatti, valutando anche l’accusa di esercizio abusivo della professione medica.
Intanto la polizia, nel corso delle indagini, ha scoperto che all’interno dello studio medico abusivo di Torrevecchia non c’era nessun defibrillatore, nessuno strumento di primo intervento e nessuna cartella clinica. L’appartamento era stato dunque trasformato in ambulatorio senza alcuna autorizzazione dal 65enne peruviano gia’ noto per precedenti di polizia legati alla sua attivita’ professionale.
Quella struttura, infatti, operava da oltre 13 anni senza alcuna autorizzazione: l’ultima era scaduta nel 2012 e non più rinnovata. Su questo aspetto è intervenuto anche il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, annunciando che si sta lavorando “assieme all’ordine dei medici, a un provvedimento che consenta, attraverso un QR code, una chiara identificazione di ciò che in uno studio medico è possibile fare, con un richiamo, anche alle specializzazioni del personale medico che lavora in quello studio”. Il titolare, cittadino peruviano di 65 anni, nonostante l’assenza dei certificati, continuava — anche grazie ad una massiccia promozione sui social — a fornire interventi di chirurgia estetica e in molti lo continuavano a scegliere per sottoporsi ad operazioni anche invasive che richiedevano anestesie o sedazioni profonde. Negli anni, tuttavia, lo studio di via Roncati era finito sotto la lente della Procura e dei carabinieri del Nas, tanto che il titolare era stato rinviato a giudizio per irregolarità amministrative. Risposte, intanto, sulle cause della morte arriveranno dall’autopsia che verrà effettuata giovedì.
I pm, coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, hanno nominato tre consulenti. L’esame autoptico dovrà stabilire se la donna è deceduta per uno shock anafilattico, dovuto a una reazione avversa all’anestesia, oppure per errori durante l’intervento. Picciotti ha precedenti per lesioni legati alla sua attività: nel 2013 era stato condannato, dopo la denuncia di una paziente, ma nel 2015 l’accusa era stata dichiarata prescritta dalla Corte d’Appello. Chi indaga, in attesa di ascoltare il titolare, l’anestesista di 67 anni e l’infermiera, sta mettendo in fila tutti i tasselli finora raccolti. L’équipe avrebbe tentato di rianimare la donna senza allertare immediatamente i soccorsi. In questo ambito, elementi utili alle indagini potrebbero essere forniti dall’analisi dei telefoni cellulari sequestrati agli indagati per omicidio colposo. Gli inquirenti vogliono ricostruire le comunicazioni intercorse tra i tre e, soprattutto, i tempi con cui è stato richiesto l’intervento di un’ambulanza privata e del 118. Da chiarire, infatti, perché il mezzo di soccorso abbia raggiunto il Policlinico Umberto I e non il Gemelli, che dista circa 10 minuti in auto dall’appartamento. La donna è arrivata al pronto soccorso alle 20:32 in arresto cardiocircolatorio e già intubata: sul mezzo di soccorso è stata anche sottoposta a massaggio cardiaco da parte dell’anestesista che la accompagnava. In ospedale si è tentato di rianimarla per oltre un’ora, ma inutilmente.