“Sì è mio figlio”. Si apre con così la lettera che Walter A., padre di Simone, il quindicenne ripreso in un video diventato virale mentre accusa i militanti di Casapound di aver strumentalizzato la protesta contro il trasferimento di alcuni nomadi a Torre Maura, ha indirizzato a diversi giornali.
“Sì è mio figlio” – spiega Walter – Sì perché a me piace chiamarlo ancora bambino, probabilmente inconsciamente è la difesa alla nostalgia che ogni genitore prova nel vedere diventare adulto un proprio figlio”.
“Credo sia un errore la lotta tra emarginati e poveri, e che invece sia una priorità la lotta per la casa, per il lavoro e per il diritto a una vita dignitosa. Simone come un ‘bambino’ tedoforo ci lascia una fiamma. Una fiamma che non distrugge, che può illuminare una via. Che queste lotte dovute siano, usando una parola detta da Simone, una ‘leva’ di unione di intenti”.
“Nella periferia si prova l’abbandono – scrive ancora il padre di Simone- esiste la povertà perché c’è disoccupazione, o perché si fanno lavori flessibili e precari. Esiste il problema rifiuti, vere discariche a cielo aperto vicino i cassonetti, a cui quasi ci fai l’abitudine un po’ come la mia amica buca. Chiunque mi proporrà di seguirlo per protestare e gridare questo stato di cose ai veri colpevoli, io lo seguirò.
Per Walter i “colpevoli sono chi governa non per il bene dei cittadini ma per un proprio tornaconto, chi ha permesso la speculazione edilizia e un sistema tangentizio di anni che ha provocato segni indelebili sulle nostre schiene. Una mia convinzione – prosegue – è che un solo bambino impaurito su un barcone in mezzo al mare o dietro la finestra di un centro di accoglienza giustifica la tolleranza, l’integrazione. E sia chiaro il fenomeno dell’immigrazione necessità un impegno reale di tutti, che non si deve fermare solamente al primo obbligato e necessario aiuto a queste persone”.