120 battiti al minuto di Robin Campillo deve il suo titolo ai “ritmi” della musica elettronica, ma sarà un film che vi entrerà nel cuore. Candidato all’Oscar per la Francia, 120 battiti al minuto parla del gruppo attivista parigino di Act-Up che con le sue azioni fece parlare di sé e dell’AIDS nella Francia degli anni ’90. Il film ha anche vinto il Gran Prix della giuria all’ultimo festival di Cannes.
Il film è stato protagonista di una campagna offensiva denunciata dalla Teodora Film. “Quanti animali innocenti vivisezionati per curare questi cosi?” ha scritto il più classico dei leoni da tastiera condividendo una notizia sulla presentazione del film, al di là dell’ignoranza e dell’orribile insulto, noi di RadioColonna vi vogliamo spiegare perché 120 battiti al minuto è un film da non perdere.
120 battiti al minuto è un film da vedere, uno dei motivi è rappresentato dalle tematiche che tratta, ancora molto attuali. Anche se è ambientato nella Parigi degli anni ’90, teatro delle azioni di protesta di Act-Up, come ha sottolineato lo stesso regista Robin Campillo:
“Nel 1982, quando abbiamo iniziato a parlare di AIDS in Francia, avevo vent’anni e n’ero terrorizzato in quanto giovane gay perché dicevano che avrebbe decimato la popolazione omosessuale, di tossicodipendenti e degli emofiliaci. Una volta entrato alla scuola di cinema, nel 1983, tutto il cinema che amavo, non serviva più a comprendere quest’epidemia ed ero terrorizzato e non ne volevo più parlarne. Nel 1992 ho iniziato a frequentare Act-Up Paris e ho sentito la necessità di fare un film su questo, è stato un gruppo che ha cambiato l’idea che si aveva sull’epidemia e mi ha permesso di non avere più paura. Volevo fare un film sull’AIDS da tempo, ma non volevo focalizzarmi su un malato, ma sull’attivismo”.
Act Up-Paris, l’associazione di Act-Up con sede a Parigi, era nata nel 1989 sulla falsa riga di Act-Up New York e voleva con le sue azioni colorate, teatrali, di disturbo, dare una voce a chi non ce l’aveva: i malati di AIDS. Ogni azione di Act-Up Paris è piena di vita, anche quando si distendono “morti” in un’importante piazza parigina sulle note di Smalltown Boy di Jimmy Sommerville.
Le azioni e le storie del film sono molto simili a quelle al centro di Act-Up Paris negli anni ’90 di cui Campillo era membro. Sono entrate talmente tanto nell’immaginario collettivo che a ricordarle è anche il protagonista, Arnaud Valois, anche se all’epoca era giovanissimo.
Sangue finto gettato su impiegati di una casa farmaceutica, die-in, preservativi distribuiti ai liceali sono solo alcune delle azioni di Act-Up Paris. Una delle polemiche che è stata legata al lancio del film è il divieto (prevedibile) ai minori di 14 anni, ma che non permette alle fasce d’età, probabilmente più interessate, di accedere al film. L’ignoranza sui temi dell’AIDS (e il mondo gay) è stata ultimamente al centro anche di accese discussioni al Grande Fratello Vip, ragione per cui 120 BPM va visto.
120 battiti al minuto dà spazio ad alcune storie dei suoi attivisti: Sean, che di mestiere fa il sieropositivo malato da quando aveva 16 anni per un rapporto non protetto; Nathan, il neo-arrivato che è riuscito a non essere infettato e il giovanissimo Marco, appena 16enne e sieropositivo per via di una trasfusione.
Ma qual è la situazione attuale? Di AIDS nel 2017 non si muore, o almeno i numeri fanno molta meno paura rispetto a quelli di 25 anni fa, ma resta un’epidemia che dai primi anni a oggi ha ucciso 40 milioni di persone.
“Finalmente ci sono dei farmaci che hanno degli effetti positivi sui malati, ma politicamente si fa ancora troppo poco – spiega il regista – Macron in Francia, per esempio, ha fatto pochissimo. C’è stata una grandissima conferenza sull’AIDS a Parigi tempo fa e lui non ha presenziato. Siamo passati da un’epoca in cui tutti si pensava fosse tutto pericoloso ad avere trattamenti efficaci, ma meno nocivi. Ci sono le armi, si può frenare l’AIDS, ma manca l’appoggio politico quello che non c’era all’epoca”.
Una dimensione politica che è stata una scoperta per l’attore Arnaud Valois: “Documentandomi, mi sono reso conto dell’estrema indifferenza e la cattiva opinione che colpiva i malati di AIDS, una dimensione politica che ho scoperto preparando il ruolo”, ha spiegato l’attore.
Dunque dal 1990 a oggi poco è cambiato, “bisogna che si sappia che la gente ha una vita normale e una qualità di vita buona, ma serve la volontà politica a livello europeo e occidentale perché se ne parli in alcune zone, ancora oggi colpite, come l’Asia, l’Europa dell’Est e l’Africa. E parlare alle e delle minorità colpite: le prostitute, i gay e i migranti”.
120 battiti al minuto, pur parlando di un’epidemia gravissima, resta un inno alla vita. Le serate in discoteca, l’amore e le stesse animate discussioni settimanali di Act-Up sono un esempio pulsante di vita in un contesto dove la morte la faceva da protagonista.
Alcuni saranno colpiti, e probabilmente sono state la causa del divieto, da alcune scene di sesso, una in particolare dove c’è una fusione di eros e thanatos, amore e morte.
“L’equazione sesso e ammalarsi di AIDS mi dava fastidio all’epoca e oggi. Nel mio film sono due entità separate, c’è eros e c’è thanatos. Sì, l’AIDS è una malattia sessualmente trasmissibile, ma non c’è un rapporto simbolico fra la sessualità e la morteo. Se ci battevamo per sopravvivere ad Act-Up, lo facevamo perché amavamo vivere, fare l’amore… andare alle feste. Eravamo fantastici a vivere, ballare, andare in discoteca, eravamo giovani ed è per questo che la musica è importante in questo film”.
Nelle tante scene in discoteca, la musica house la fa da protagonista e spesso prende forma proprio “il virus” dell’AIDS. 120 battiti al minuto deve il suo titolo alla musica house per il regista “il miglior ritmo per parlare di AIDS, importante come il discorso politico, volevo raccontare questa storia in modo sensuale e sensoriale perché ricordiamo così le persone, molto più che una semplice notizia di cronaca ”.
E in 120 battiti al minuto Robin Campillo c’è riuscito alla perfezione. Anche merito del suo giovanissimo cast, in testa l’attore argentino Nahuel Pérez Biscayart che lascia Act-Up una volta che la sua situazione si aggrava, il futuro bello del cinema francese Arnaud Valois e Adèle Haenel, già vista in La ragazza senza nome.
120 battiti al minuto è un inno alla vita in ogni singola inquadratura, unica pecca del film forse qualche minuto di troppo (probabilmente non eliminato perché Campillo è anche il montatore del film). Andate a vederlo e non fatevi influenzare dai leoni da tastiera.
A 120 battiti al minuto è in programma all’Eden, al Farnese, al Quattro Fontane e a Eurcine.