Era facile imbattersi in Alberto Mandolesi. Te lo vedevi lì, che camminava svelto, abbozzando una corsa, su via Cortina d’Ampezzo, la zona dove abitava, con la sua famiglia. Padre, marito, nonno, grandi occhi e sorriso stampato sulla faccia con un velo di abbronzatura, ti metteva subito di buon umore.
Ora Alberto se ne è andato, sconfitto da un male arrivato d’improvviso, invincibile, spietato. Quasi mezzo secolo di microfono e carta stampata dedicati al suo grande amore, quella Roma che gli ha regalato tante gioie e qualche dolore. L’amicizia con Agostino Di Bartolomei, indimenticato capitano del secondo scudetto giallorosso, inghiottito dalla depressione e morto troppo presto. La scoperta di un diciassettenne di Porta Metronia, al secolo Francesco Totti.
Quando esordì contro il Brescia, correva l’anno 1993, Mandolesi ci vide lungo. Più lungo di tutti. Totti era un fenomeno, il giocatore che a Trigoria aspettavano da una vita. Non si era sbagliato, Alberto. Anche quando il male avanzava inesorabile, demolendo la speranza di guarigione un pezzo alla volta, il suo cuore per la Roma non ha mai smesso di battere. Malato da tempo, continuava a intervenire sulle questioni legate alla Roma, scrivendo post sulla sua pagina Facebook dopo ogni incontro giocato.
Solo sabato 10 febbraio in serata aveva pubblicato la foto di uno striscione che gli era stato dedicato dalla Curva Sud in occasione di Roma – Inter: Molti amici hanno girato questo scatto ai miei figli, mi ha fatto molto piacere, aveva scritto. Lo striscione recitava la frase: Forza Alberto, raccontaci un altro gol. Purtroppo non sarà così. Ci mancherà, Alberto. Quella voce, quel ritmo nelle parole, quell’umiltà. Mai una sbrodolatura di troppo. Vogliamo immaginare che anche da lassù possa infilarsi un paio di cuffie, alzare il volume del microfono e raccontare un gol. Ancora un altro gol.