Prima del 13 maggio 1978 c’erano i matti. Ora ci sono i malati psichiatrici, nelle varie sfumature possibili. Prima della legge 180 c’erano i manicomi. Edifici, spesso vecchi e usurati. Lunghissimi corridoi, dove, tra un delirio e l’altro, si consumavano le vite e grandi camerate da cui era bandito qualunque tipo di “privato”. Ora ci sono gli ospedali e i reparti psichiatrici. Dove le porte sono comunque blindate e le finestre non si possono aprire. Dove gli “urlatori” continuano a gridare e lo psicotico a gesticolare. La contenzione, variamente declinata (dalle classiche legature, ai farmaci altamente sedativi) esiste ancora. Come è ancora metodica accettata l’elettroschock.
Prima di Franco Basaglia nei manicomi si entrava e non se ne usciva più. Ora, dai reparti psichiatrici qualche malato “molto supportato dai farmaci” e da controlli ce la fa ad uscire. Perchè prima, nei manicomi, non si usavano i cocktail farmacologici che, oggi, riescono a tamponare alcuni di questi misteri della mente e dell’anima. Basaglia, psichiatra e studioso, nel 1973 aprì (anzi sfondò) i cancelli dell’istituto “liberando” i matti e denunciando una situazione socio/sanitaria non più sostenibile. Un atto che impose a tutti, politici in primis, la presa di coscienza dell’inadeguatezza dei modi e metodi di cura delle malattie mentali.
Un gesto, quello del medico, che rimarrà nella storia ma…che arrivò troppo presto e senza uno studio di fattibilità concreto. Le strutture suppletive/integrative non c’erano. E i medici sia di base che specialistici non erano affatto pronti a tamponare l’onda di nuovi e “particolari” pazienti che si riversò negli ambulatori.
Solo con l’effettiva entrata in vigore della legge 180 nel 1978, regioni, province, università e ospedali fecero i primi passi a supporto della nuova realtà medicale. Ma da quel cancello abbattuto, intanto, erano passati 5 anni. Anni spesso tragici per persone che non conoscevano altra realtà se non quella “detentiva” del manicomio e situazioni drammatiche per le famiglie che videro entrare in casa “uno sconosciuto” avulso da qualsiasi dinamica di gruppo, misterioso e bisognoso di cure sconosciute ai più.
E quante sciagure si verificarono per chi della vita non sapeva nulla e per chi del parente “matto” non voleva proprio saperne. Le case farmaceutiche crcarono di sanare l’enorme falla biochimica che per troppo tempo aveva ignorato cure adeguate per le malattie mentali. E gli specialisti, chiamati a rispondere in prima persona della salute dei pazienti e dei nuclei familiari furono guardati come stregoni e sperimentatori.
La diffidenza e la vergogna che da sempre contornano la malattia mentale diventarono una ragnatela che cercò di catturare anche chi la curava. Perchè ancora oggi la malattia è vergogna e diversità e peso, spesso insostenibile, per chi le sta accanto. Si parla molto, ultimamente, di terapie, controlli e sostegni a domicilio ma, siamo ancora agli albori e francamente è difficile immaginare il disagio e la responsabilità di chi decide di tenere in famiglia un alzheimer grave, un malato psichico o un grande vecchio!
I continui tagli alla ricerca e il buco sempre più profondo in cui precipita la sanità, non promettono nessun passo avanti. Anzi chi è a diretto contatto con il disagio si sente sempre più solo e “abbandonato” dallo stato. Troppo poco si fa per legittimare e sostenere il gesto di Basaglia di 40 anni fa!
Lasciamo queste 2 ultime righe per ricordare Mario Tobino psichiatra e scrittore. Non perchè negativo sulla legge Basaglia ma perchè, al contrario di altri, ebbe il coraggio e l’amore di condividere giorno dopo giorno la vita all’interno del manicomio. Sempre con i suoi matti e per i suoi matti.
“La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura. (Per le antiche scale)”
“Ogni creatura umana ha la sua legge; se non la sappiamo distinguere chiniamo il capo invece di alzarlo nella superbia; è stolto crederci superiori perché una persona si muove percossa da leggi a noi ignote. ( Le libere donne di Magliano)”. Mario Tobino