Ora che è tutto finito ci sentiamo quasi in obbligo di rispondere, alle ripetute affermazioni di Filippo Facci (et al.) nei riguardi di Nadia Toffa.
Del tumore che l’ha ammazzata a 40 anni e del suo modo “pubblico” di affrontare le varie fasi della malattia. Fino all’ultimo.
Di Facci accettiamo e condividiamo solo e completamente un’unica frase “il cancro è una cosa troppo seria”. Detto questo, Facci avrebbe dovuto capire che qualunque altra argomentazione, diverbio, confronto o discussione è a dir poco “vergognosa” e inappropriata.
Inutile scendere nell’arena di un dibattito con un giornalista che da un lato riconosce la gravità del famoso “brutto male” e dall’altra sale in cattedra per criticare “il come” l’ammalato lo gestisce.
Nemmeno un medico può spingersi a tanto. Fatta la diagnosi, stabilita la cura, seguito l’iter e dato al paziente tutto il supporto scientifico (e umano) a sua disposizione altro non può fare. Men che meno discutere come il paziente vive, nel privato e nel pubblico, la “tragedia” che gli è capitata.
Perchè per quanti passi avanti abbia fatto e faccia la ricerca, la diagnosi travolge il paziente oncologico come fosse un verdetto senza replica. Solamente per la persona che esce dall’ambulatorio con quel responso, niente è più come prima. Strade, case, traffico, negozi, colori, rumori ecc tutto è snaturato e filtrato.
E’ una diagnosi che ti travolge e che pretende tempo e sacrificio per essere elaborata.
Il tumore non è più una vergogna, ce l’ha insegnato il prof. Veronesi, e va affrontato con tutta la forza che possiamo trovare lungo il percorso. Un percorso che, creda signor Facci, riserva mille imprevisti, tante illusioni e altrettante disillusioni. Un percorso che durerà fino a quando Dio vuole.
Dopo un po’, e passata la botta iniziale “ti abitui” all’idea di avere un cancro. Ma il pensiero va sempre lì, alle possibili sorprese che possono manifestarsi durante i controlli periodici.
I medici dicono che un atteggiamento positivo e una buona dose di fiducia possano essere un’ottima medicina. Quindi la soluzione non è rinchiudersi in un angolo di casa come un appestato. Tanto meno lo è il dolore di chi ti sta intorno, il loro trattarti sempre con la pena negli occhi, e ancor meno lo è la pietà. Quella ti fa più male di un ago in vena.
Se il “brutto male” ha finalmente un nome pronunciabile senza vergogna è proprio grazie a quelle donne e a quegli uomini che ne hanno parlato pubblicamente. Che non ne fanno mistero ma argomento di confronto.
Certo una persona qualunque si misura con una piccola cerchia di amici e conoscenti che non fa audience, mentre una persona di spettacolo, se decide di raccontarsi, lo fa davanti ad un pubblico molto vasto.
Chi convive con il tumore non può che ringraziare Nadia Toffa e tutte le persone che, come lei, hanno raccontato la loro malattia e il doloroso percorso. Grazie ad Eluana Englaro, grazie a Welby, grazie a Luca Coscioni, grazie ai genitori che hanno la forza di portare sul video le malattie rare dei loro piccoli. Grazie ad Alex Zanardi che non fa mistero della sua menomazione e ci indica la via per reinventare una vita, con quello che è rimasto di noi. Grazie a chi ha avuto la forza di mostrare, pubblicamente, la fragilità umana e le scelte del fato.
Signor Facci forse le è sfuggito (e l’ha fatta malamente scivolare) l’essenza della mission della TV: informare ed educare. Quindi non solo pailletes, isole Vip, game show e talk show (a cui lei raramente manca). Forse ha perso di vista il vero “mandato” di un giornalista: comunicare e analizzare un fatto, un problema, senza censure ma anche e soprattutto senza arrogarsi il diritto di entrare in conflitto con chi sta soffrendo. E sentirsi tanto forte, sano e preparato da discuterne le scelte.
(Per me, giornalista, questa è una vergogna che infanga l’intera categoria)