Il professore cambia scuola è al cinema, il primo lungometraggio di finzione del regista Olivier Ayache-Vidal racconta di un professore di francese che si trasferisce da un liceo del centro di Parigi a un altro nella banlieue. Per realizzare il suo primo film di finzione Ayache-Vidal ha usato le tecniche del documentario e un cast che mescola attori professionisti e non.
Il professore François Foucault (interpretato da un sempre ottimo Denis Podalydès) insegna francese in un liceo del centro di Parigi, l’Henri IV. Figlio di un noto romanziere francese, per accattivarsi un’affascinante funzionario del ministero della Pubblica Istruzione accetta – suo malgrado – di essere trasferito in una scuola della banlieue parigina. Senza saperlo ancora, cambierà la vita dei suoi alunni.
Olivier Ayache-Vidal ha raccontato che da tempo voleva realizzare un film sul mondo della scuola:
“Effettivamente avevo voglia di un film sull’educazione, m’interessava, i miei figli avevano la stessa età dei ragazzi del film e andavo spesso ai consigli di classe e allo stesso tempo alcuni produttori hanno voluto realizzare un film sull’educazione. E da lì mi sono immerso nella vita di diverse scuole per più di due anni e a partire da tutto questo ho iniziato a scrivere la sceneggiatura ed è così che è nato il film”.
Il professore cambia scuola è il primo lungometraggio di finzione per il regista che ha firmato in passato cortometraggi e il documentario Hôtel du Cheval Blanc e nelle note di regia ha spiegato che l’ha realizzato in modo realistico:
“Fare un film sull’educazione è obbligatoriamente realizzare uno specchio sulla società, ero obbligato a fare qualcosa che rappresentasse l’assurdo dell’esperienza che stavo vivendo. Volevo che i professori si ritrovassero mentre lo guardavano. Immerso nell’educazione nazionale, come un osservatore senza essere un professionista, per due anni sono riuscito ad abbinare una realtà e a realizzare un film in cui i professori si riconoscono”.
Il regista francese ha osservato la vita di un istituto scolastico, il Maurice Thorez di Stains:
“Potevo andare da una classe all’altra e potevo osservare come un professore insegnava in una classe e in un’altra, ogni volta era qualcosa di differente. È stato qualcosa che in pochi sono riusciti a realizzare e mi ha permesso di rendere il mio film realistico”.
Nel film gli alunni della scuola media sono anche stati scelti come protagonisti:
“Sono stato lì per più di due anni e nel film ho lavorato con gli alunni dell’istituto. Denis Podalydès l’ho scelto perché per me rappresenta per me il professore, ho usato gli alunni della scuola media e del liceo dove avevo fatto la mia immersione perché volevo anche dare loro qualcosa in cambio, ed era qualcosa di logico all’ora di comporre la mia classe nel film. Da una parte c’era Podalydès nel suo camerino che imparava la sua parte, mentre io ripetevo le battute con gli alunni”.
Per Ayache-Vidal il ritorno sui banchi di scuola è stato qualcosa di fantastico, lontano da interrogazioni e buoni voti, il regista si è totalmente immerso nella realtà scolastica del film:
“È stato geniale! È stato un po’ come Ritorno al futuro, ero seduto dietro tutti gli alunni, non dovevo imparare nulla, avevo il mio computer, li osservavo e prendevo appunti. Proprio come nel film di Zemeckis, ero un adulto in mezzo agli alunni, non sono né professore, né alunno, poi ho anche amato partecipare ai consigli di classe ed entrare nella sala dei professori… è stato superbo”.
Al centro del film anche il rapporto fra maestro e alunno, quali sono stati i suoi maestri?
“Ne ho tantissimi nel mondo del cinema e dell’arte, è una lista lunghissima. Ho una moltitudine di nomi, nell’arte e nell’architettura, è una lista troppa lunga! Ho moltissime influenze, non ce n’è uno, ce ne sono una cinquantina, sono troppi anche nella filosofia, non riesco a citarne uno”.
Il protagonista de Il professore cambia scuola è un insegnante che cambia la vita dei propri allievi com’era successo in un altro film anni 80, L’Attimo Fuggente, ma per il regista l’ispirazione è sempre legata all’immersione che ha fatto nelle scuole di Stains:
“L’ispirazione viene dall’immersione, non sapevo che cosa avrei scritto o fatto, sono andato e ho visto. All’inizio ho visto la vita nei licei, dai 15 ai 17 anni, e li ho trovati molto calmi e mi sono detto: Che cosa racconterò? E per questo che ho scelto di andare nelle scuole medie (i collegès in Francia, ) dove sono più giovani e pieni di energia, sono più adolescenti e ho visto delle cose interessanti. Dovevo riuscire a raccontare una storia, il film è la continuazione diretta della mia immersione se non perché l’avrei fatta? D’altronde ho poi cambiato tutta la sceneggiatura dopo aver partecipato a un vero consiglio di disciplina”.
Lo studente Ayache-Vidal non ha ritrovato nel suo percorso di studi nessun professore che gli ha cambiato la vita e ha ammesso di essere stato il classico studente che “non si applica”:
“Non ho avuto professori che mi hanno cambiato la vita, sono refrattario alle cose, non ho avuto un maestro, ne ho avuti molti. Non sono un’unica persona, sono una moltitudine, non ero un alunno interessato, lo trovavo lungo e noioso e facevo delle cose mie, non ero un allievo modello”.
L’accesso alla cultura è un tema ricorrente nel cinema francese contemporaneo, come nei titoli Nelle tue mani o Quasi nemici – L’importante è avere ragione, il motivo per il regista è legato al cinema del reale:
“Si vede una grande differenza fra Parigi e le banlieue, sappiamo che è diverso e che esiste una forte differenza fra i due universi. Sfortunatamente è un problema urbanistico e anche sociale, si tratta di quartieri sfavoriti. Il cinema serve anche a puntare il dito sui problemi della società, se mi chiedono se il mio film serve a qualcosa, è chiaro che serve a qualcosa. Chi dice che il loro film non serve a niente pecca di falsa modestia, penso che serve e può aprire dei dibattiti. Perché la banlieue? È un problema ancora attuale in Francia e altrove”.








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