Gli antichi Romani? Più abili e intelligenti di noi. E non solo per la capacità di costruire opere mastodontiche in grado di resistere ai millenni, contro una certa edilizia moderna pronta a sgretolarsi dopo una manciata di anni. I nostri antenati, quei fondatori del più grande e organizzato impero dell’antichità, la sapevano lunga anche in materia di schiavitù.
Qualcuno strabuzzerà gli occhi. Qualcun altro rabbrividirà al solo suono di questa parola. Ci si fermi, si faccia un bel respiro e ci si legga Miseria e fortuna: gli schiavi nella Roma antica (edizioni Efesto), esordio letterario di Stefano Azzone, romano, classe 1985,e una passione a tempo indeterminato per la storia.
Poco meno di 130 pagine che vanno via tutte d’un fiato per gettare un po’ di luce in un angolo di storia non sempre sviscerato a dovere. L’impero e i suoi schiavi, molto più di una condizione sociale simile a un castigo senza scampo. Quello che emerge dal lavoro, scritto in collaborazione con Paola Serata e frutto di mesi di ricerche certosine, è sorprendente.
Gli schiavi nella Roma di duemila anni fa potevano trovarsi tranquillamente ai posti di comando della res publica, pur essendo sotto padrone. La spina dorsale di un impero. Non soltanto servi o operai, ma anche medici, insegnanti, amministratori pubblici (quelli che oggi chiameremmo dirigenti), artigiani, guardie pubbliche “o persino amanti dell’Imperatore”, scrive Azzone. Come Antinoo, accompagnatore del grande Adriano. Cresto, lo schiavo-tesoriere del ricco Gaio Norbano Flacco.Persino un Papa, Calisto I, ebbe un passato di schiavitù.
Schiavi sì ma anche figure non secondarie di un impero. Certo, non è facile fare a pezzi secoli di vulgata schiavista, tutta miseria, catene e sofferenza. Eppure la giovane penna di Montesacro ci riesce benissimo, offrendo un quadro completamente diverso da quello immaginato finora, racchiuso nello schiavo che va a morire nel Colosseo. Quello che emerge è un concetto di una società, a tratti dignitosa, senza dubbio funzionale ai bisogni della comunità.
A conti fatti due millenni e mezzo non sono bastati a cancellare una certa avanguardia della società romana. Talvolta sarebbe il caso di rispolverarne l’essenza, cominciando magari da libri come questo, che ricostruiscono i veri volti di una delle più grandi civiltà della storia.
C’è persino il rischio di imparare qualcosa di buono: oggi c’è una nuova schiavitù, che sia chiama caporalato, immigrazione, fondamentalismo, fame, Terzo mondo. Una nuova società schiavista che avanza, ingoiando il futuro di milioni di persone. Molto peggio di duemila anni fa.