Il Venerabile W, Barbet Schroeder racconta l’odio nel suo documentario

Al cinema dal 21 marzo, il regista parla del massacro dei Rohingya in Birmania perpetuato dalla maggioranza buddista

Il venerabile W, Barbet Schroeder racconta le radici dell'odio nel suo ultimo documentario

Il Venerabile W è l’ultimo documentario di Barbet Schroeder e sarà distribuito da Satine Film al cinema il prossimo 21 marzo, la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale con il patrocinio di Amnesty International. Al centro del documentario Il Venerabile Wirathu, il monaco buddista Ashin Wirathu che professa l’odio nei confronti della minoranza musulmana in Birmania.

Il Venerabile W è l’ultimo capitolo della trilogia del male diretta dal francese e preceduta nel 1974 da Il Generale Idi Amin Dada sul generale ugandese che causò 500mila vittime durante la sua dittatura e nel 2007 da L’avvocato del terrore dedicato a Jacques Vergès, avvocato difensore di terroristi e criminali di guerra. 

Wirathu è un monaco buddista, dopo il potere militare e quello negativo della giustizia Schroeder analizza le radici dell’odio religioso e del genocidio attraverso una lunga intervista a Il venerabile W. Il film ha il patrocinio di Amnesty International, come ha spiegato il suo portavoce Riccardo Noury:

“È un documento di straordinaria importanza perché analizza come si passa dalla creazione dalle parole al crimine d’odio. Una proiezione geometrica dell’odio che diventa pulizia etnica, come quella che va in atto in Myanmar dal 2007 fino a oggi. La preparazione di un genocidio avviene così, come ieri notte in Nuova Zelanda”.

Realizzato nel 2017, Il Venerabile W resta drammaticamente attuale, Schroeder riprende Wirathu senza giudicarlo proprio come aveva già fatto con Vèrges e Amin Dada:

“Avevo in mente di fare questo documentario da molto tempo, avevo girato quello su Amin Dada e sull’Avvocato del Diavolo in cui avevo messo la lente di ingrandimento sui personaggi senza giudicarli. Ho ripreso Wirathu senza esprimere giudizi, ho usato un montaggio onesto con le sue parole e spero esca una forma di verità”.

Ashin Wirathu è il personaggio principale del documentario, il regista ha scoperto la storia del genocidio dei musulmani in Birmania facendo delle ricerche su internet come ha svelato nel cortometraggio Che fine ha fatto Barbet Schroeder?

“L’università di Yale aveva pubblicato uno studio di un genocidio annunciato e in corso che implicava il buddismo. Wirathu è il mio personaggio principale perché io vedo i documentari come i film di finzione”.

Come si scopre nel cortometraggio, Schroeder è buddista e avevo visitato l’India giovanissimo, la scoperta del genocidio non gli ha fatto cambiare idea sulla religione che si fonda su un modo di vivere tollerante, pacifico e non violento:

“Ho perduto tante illusioni politiche e religiose, alla fine il buddismo è legato all’essere umano quindi l’odio è dentro di sé”.

La battaglia di Wirathu per difendere il buddismo e la Birmania dalla minoranza musulmana (solo l’8%) ricorda è profondamente lontana dai dettami della religione buddista:

“Sono proprio partito dagli ideali del buddismo e come potesse mischiarsi a questi eventi e poi la riflessione ha riguardato l’Occidente, l’Europa e l’America, il nazionalismo e il populismo: una caratteristica di Wirathu. Alla fine è una storia che riguarda molto più di noi di quanto avrei mai potuto pensare”.

Il populismo non riguarda solamente Wirathu, tanto che per convincere il reticente monaco il regista ha citato Marine Le Pen:

“Volevo da subito fare un film e gli ho detto che non ero un giornalista, lui mi chiedeva perché volessi farlo e gli ho detto che in Francia stavamo per eleggere presidente Marine Le Pen che condivideva le sue idee e il pubblico era interessato alla formazione delle nuove leggi”. 

Il massacro dei Rohingya è una storia che si ripete da secoli, molto simile a quella Germania negli anni 30:

“Ci ho pensato spesso, penso ai ricchi che fanno manipolazioni malvagie per difendere la cultura del Paese, Wiruth dice che la sua religione che è meravigliosa e l’idea che si perda lo spaventa. Quello che è successo a Meitkila è un pogrom ed esiste in tutte le culture. Il primo fu in Russia e l’elemento più importante è che la polizia stava a guardare senza fare nulla. Poi in Polonia dopo la guerra e negli anni 70 in India con Modi responsabile, è uno schema che si riproduce non è legato alla cultura o al Paese”.  

Anche se è un monaco buddista Witharu potrebbe essere colluso al regime militare qualcosa che non è riuscito a provare Schroeder. Il regista, invece, ha commentato la discutibile posizione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kuy:

“Ha fatto un patto con i militari che controllano tutto. Non ha mai voluto parlare dei Rohingya, data la sua posizione avrebbe dovuto interrogarsi un po’ di più. La collaborazione non è giustificabile, ricorda la Francia di Pétain che per combattere i nazisti per risparmiare dolore ai francesi controllandoli ma finì per collaborare con loro deportando moltissimi francesi”. 

La pubblicazione di fake news e la manipolazione di Onu e Vaticano peggiorano la sua posizione:

“Sul suo sito dice che i Rohingya danno fuoco alle proprie case e che le donne inventano gli stupri. Non è un comportamento corretto, si è servita del potere, della sua posizione e della leggenda che la lega per far accettare i militari. Ha manipolato Kofi Annan e il Papa: sono convinto che farà i conti con la storia, com’è avvenuto nei Balcani, ma ci vorranno almeno dieci anni prima che ciò accada”.

Una situazione profondamente drammatica, come ha confermato Riccardo Noury di Amnesty International che le ha revocato il premio “Ambasciatore della coscienza” al presidente birmano:

“In 700mila fra uomini, donne e bambini sono stati espulsi dal Paese e sono rifugiati in Bangladesh, i due Paesi sono separati da un fiume e l’esercito si trova sul confine per compiere più stragi. Esiste un piano di rientro, ma i Rohingya sono contrari perché nulla è cambiato: c’è una apartheid istituzionale che non li considera più cittadini”. 

Dal 1982, infatti, sono stati privati della nazionalità birmana, ma i Rohingya non hanno intenzione di tornare nel loro Paese se non sono protetti, come ha sottolineato il regista. Il Venerabile W è piaciuto molto a Witharu:

“L’amato come Amin Dada aveva adorato il suo. Tutti giorni alla TV parlava del film, un po’ come Trump che non capisce perché le persone reagiscono così a quello che dice. Non sono ottimista, e anche guardare il pianeta non migliora la situazione. non voglio essere catastrofista, ma è fin troppo facile in questo momento”.

Le radici dell’odio raccontato senza emettere giudizi con le parole e i gesti delle persone che seguono la religione più pacifista che esiste e che più di tutti dovrebbero insegnare l’amore e il rispetto per gli altri. Un documentario del 2017 ma drammaticamente attuale anche per i fatti di ieri a Christchurch in Nuova Zelanda. Una visione chiara e non schierata di uno dei migliori registi di documentari al mondo.

Il Venerabile W vi aspetta al cinema dal 21 marzo distribuito da Satine Film.

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