La Tenerezza è da oggi al cinema, l’ultimo bellissimo film di Gianni Amelio. La storia è quella di un anziano e scorbutico avvocato che ritrova il sorriso e riscopre la tenerezza grazie a una coppia di vicini di casa in un palazzo nel centro di Napoli. Quando una tragedia colpisce la giovane famiglia, il film e le loro vite prendono un altro verso.
La Tenerezza apre oggi il BiFest, il festival del film di Bari. Il film è stato presentato dal regista e dai suoi protagonisti: Renato Carpentieri, Giovanna Mezzogiorno, Elio Germano e Micaela Ramazzotti.
Gianni Amelio ha definito così La Tenerezza: “Non so ancora se è un sentimento, un gesto. Io non ci ho mai riflettuto, il titolo è venuto al finale, pensando alla testardaggine con cui la figura di Elena cerca di recuperare un gesto da suo padre. Cosa possiamo dire sulla tenerezza che non abbia già detto il Papa? La settimana scorsa ha parlato della necessità di tenerezza dicendo che ci dà libertà, forse è vero… Non perché lo dice il papa, ma è una delle menti più illuminate del nostro tempo”.
Per il regista, che ha ispirato il suo film al libro di La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, la Tenerezza è “qualcosa di cui abbiamo bisogno per scacciare l’ansia, soprattutto oggi che siamo prigionieri di un mondo dove non ti aspetti quello che potrebbe succedere fra un secondo. Un mondo fatto di trappole e di inganni, sui quali agiscono delle forze che il film fiora. Non è un caso che il film si apra e si chiuda con due processi, e s’intuisce che nel primo ci sia qualcosa di torbido, probabilmente si nasconde un terrorista. Il personaggio di Elena ha questo sentore. In questo mondo pieno di trappole, ci vuole il coraggio di non essere timidi, dall’altra vergognosi. Fare un gesto di tenerezza è qualcosa che contrasta con il nostro essere forti, tutti vogliamo esserlo, ecco che un uomo che fa un gesto di tenerezza si auto considera debole. La tenerezza va data, ma deve essere autentica, se no è merce scaduta”.
“Ci vuole tutto il percorso che ha fatto Elena nel film per scardinare la chiusura del padre e forse guarirlo, perché Lorenzo è un essere fragile”, ha spiegato il registo. Il riferimento per il gesto di tenerezza viene da uno dei capolavori del cinema italiano: Ladri di biciclette.
“C’è uno dei finali più straordinari della storia del cinema, ha un senso diverso completamente diverso nel mio film, ma c’è il coraggio, l’impulso, un bambino prende la mano di un padre che è stato bastonato. C’è un padre che ha dei sensi di colpa: ha lasciato la donna che ama per una che non ama più. È un atto di coraggio, lo porta dentro di sé, ma dal quale non può guarire”, ha aggiunto Amelio.
Il protagonista del film, anche se i poster e le campagne di lancio dicono altrimenti, è Renato Carpentieri, coetaneo del regista: “Il lato bello mio sullo schermo, ma i sentimenti li condividiamo. Sono sentimenti non solo di un personaggio. Ci troviamo in sintonia su tante cose”.
L’altra coppia di protagonisti è formata da Micaela Ramazzotti ed Elio Germano, protagonisti di un gesto di infinita tenerezza.
“Sono felice che appaia come un giro di boa, in realtà non è una scena che ho controllato. L’hanno fatta gli attori. Ho detto a Elio, qui ti siedi qua, Micaela qua, Renato qui. Elio mi ha detto non è meglio se ho Micaela sulle ginocchia? Si è seduta sulle sue ginocchia e da lì è cambiato tutto. Anche l’imbarazzo di Renato è stato improvvisato, c’era una scena di intimità che Germano fa quando la imbocca senza guardarla. È un gesto di abitudine, è come se conoscesse il viso e la bocca di sua moglie così bene che non ha bisogno di dover vedere dove sta andando questo cucchiaino. Come c’è da parte di Micaela la ripetitività del termine bloccato. Fra di loro si stabilisce un dialogo che va oltre il copione, quando il regista viene scalzato dagli attori che ho scelto. La qualità che mi riconosco è averli scelti”, ha spiegato il regista.
“È una scena carica di eros, mi ha dato una certa eccitazione nel vederla, mentre la vedevo. C’era l’imbarazzo di Lorenzo, una scena che sarebbe andata anche oltre e c’era la complicità di due persone di due che si amano, forte spinti da una forte passione. Ho visto anche grande libertà, ci siao lasciati andare. Penso che io, Elio e Giovanna, siamo stati adottati, siamo stati quello che volevamo, era quello che desideravamo. Vale più di un riconoscimento, la grande libertà che c’è qualcuno pronto a prenderti qualsiasi cosa tu faccia”, ha spiegato l’attrice.
“Effettivamente, è vero, Gianni ti abita. È un’esperienza professionale che auguro a tutti i colleghi, è un abbandono. Il nostro mestiere sia di forte volontà, invece specialmente al cinema con i grandissimi autori è l’abbandono che fa la differenza. Uno non sa che cosa sta facendo, è un movimento completamente diverso. Abbiamo messo una parte dove il personaggio di Renato spia loro due che facevano l’amore. L’imbarazzo che noi abbiamo assorbito, anche a me dà l’idea di una relazione più carnosa. L’abbiamo riportata là, sei tu che ci hai portato là”, ha spiegato l’attore.
La scena bellissima si chiude con un finale “psicologicamente d’effetto. Due si stanno scaldando carnalmente, qual è la cosa che ti blocca: I bambini?”, ha spiegato il regista, “Una frase che ha chiuso le due scene seguenti. Quella frase ha chiuso tutto l’eros del mondo”.
A prendere la parola è finalmente Renato Carpentieri, già visto in La stoffa dei sogni: “Non c’è solo imbarazzo, c’è anche il pensare che è una famiglia felice, un rimpianto e un imbarazzo. Sono due cose che vanno insieme, avere quest’impressione e avere quei dialoghi fa sì che questa persona chiusa si inizi ad aprire. Il dialogo non è interessato, non deve succedere niente, sono due persone che parlano, si confidano, questo personaggio s’inizia ad aprire. C’è anche un’impressione di felicità e perciò lo choc successivo”.
Anche Giovanna Mezzogiorno, nel film Elena, si è sentita adottata da Gianni Amelio: “Sono d’accordo con Elio, bisogna sapersi abbandonare, fidarsi completamente, essere morbidi. Lasciare che quella cosa venga a te, più che andare verso un film o il personaggio. Essere pronti, a braccia aperte, io ci credo molto. Si può leggere, si può parlare molto di un personaggio, la mia esperienza personale. C’è sempre il momento in cui non hai più controllo, vieni preso e portato dove non sai. Si può sapere qualcosa, per questo io non credo… è bello preparare un personaggio ma non troppo, c’è sempre un margine ampio: questo è il momento migliore e sorprende anche te”.
Il personaggio principale è Renato Carpentieri, una prova sublime per l’attore: “Mi sono preparato in questi 27 anni, da Porte Aperte a questo per fare un altro film con Gianni. Avevo un’altra responsabilità, ero il doppio di Gianni, c’era qualcosa di lui nel personaggio. Stima e amore per il regista, la storia… e perciò è venuto bene.”
“Io volevo fare un altro film con Renato, è un attore straordinario”, aggiunge il regista, “La sua bravura, da ora in poi per altri 27 anni, con un film all’anno. Quanto è bello! Somiglia a Sean Connery, è di una bellezza che lui nasconde. Renato, il personaggio sono io… la barba portala corta. Ringrazio molto i produttori Agostino Saccà e Maria Grazia, loro lo sanno io volevo loro: Renato, Giovanna, Micaela, Elio, Maria Nazionale e Giuseppe Zeno“.
“Anche Giovanni, il bambino, che non si era conto di recitare in un film. La bambina recitava, Giovanni no. La scena della galleria, lui è balzato. L’unico fiuto che ho come regista è che ci so fare con gli attori. I compagni di viaggio ti rendono il viaggio bello o un inferno”.
Fra i protagonisti anche Greta Scacchi: “Sapevo che un giorno doveva andare a Ragusa, io mi sono precipitato per parlarle. Lei mi ha detto che mi ha fatto un po’ paura: devi darmi un copione con un mese di anticipo perché non padroneggio l’italiano. Gliel’ho dato con palpitazione, un attore che impara troppo la parte mi mette a disagio. Se perdi la parola dopo aver letto rischi di perderti. Quando è arrivata a Napoli per girare, lei sembrava che trovasse le parole in quel momento. Molto raro questo, si tratta di un’attrice che ha lavorato con tanti. È talmente intelligente che la parte la sapeva a memoria, ma ha accettato le parole, da grande attrice”.
La tenerezza è ispirato al libro di Lorenzo Marone: “Il personaggio si chiama Cesare, ma non ha niente a che vedere con Lorenzo. Ho voluto rendere omaggio all’autore del romanzo, e dedicandoglielo in qualche modo. Il soggetto è mio, di Chiara Valerio e Alberto Taraglio, il carattere dei due personaggi è diverso. Lorenzo è un provocatore, organizza dei piccoli raid nei negozi. È uno che cambia, per una sorta di sfida, cambia tante volte di ruolo”.
Il regista e il personaggio hanno in comune l’età: “Il rifiuto dell’età che avanza, io trovo che sia ingiusto, uno dovrebbe fermarsi all’età migliore, un uomo ai 40, 45 ai 50. Una donna ai 35 e portarseli per tutta la vita, ma avendo la saggezza che ti dà la maturità. L’idea di invecchiare ti dà una sorta di rifiuto di premura altrui, anche se arriva da una figlia che si preoccupa se abbia preso o no le medicine. Io, per esempio, mento sempre. Lorenzo fa una cosa, stirare le camicie. Non l’ho mai fatto, ma da quando avevo 19 anni me le lavo. Quando non potrò più farlo, starò male”.
Amelio cita un altro grande del cinema italiano, Mario Monicelli: “Ho un approccio monicelliano alla vita, lo adoravo come regista e come persona. Una delle cose più belle è quando un capo macchinista mi ha detto: Ah, Gia’ mi pari Monicelli. Vuol dire che sei il padrone, hai una sicurezza non ostentata, ma ti nasce da dentro. Arrivi a un momento nella tua vita in cui lo diventi, Monicelli era uno che faceva la spesa tutte le mattine, mi diceva mi sento bene se affronto una cosa che concerne il mio corpo. Condivido quella cosa, Lorenzo va un po’ più in là, ha dei problemi con la famiglia”.
La tenerezza è ambientato in una Napoli diversa da quella del libro: “L’autobiografia sta nelle cose non dichiaratamente autobiografiche. Quando si dirige un film autobiografico, vuol dire che sta mentendo. Quella vera è traslata, si mettono in scena delle cose non personalissime, ma fanno parte di nostri timori, delle paure, delle fragilità. Le metto in scena, se dovessi mettere le mie certezze, farei un documentario. Se ci fosse un’ombra fra me e mio figlio, non la vedrei. Il sentimento di Renato non è il mio, ma quello di un ultra 70enne in rapporto ai figli”.
“Il libro è ambientato al Vomero, chi è nato a Napoli considera normale andare a stabilirsi lì. Per uno non napoletano, arrivare a Vomero non è arrivare a Napoli, non essendo napoletano non saprei raccontare il Vomero. Mentre il libro è tutto lì, ed è molto legato al suo vissuto. Lui racconta una Napoli dall’interno. È come se un turista giapponese venisse a visitare Roma e andrebbe a Parioli. Ho fatto questa cosa, credo che il cuore di Napoli sia quello: non è la Napoli dei Bassi e quella degli attici, l’appartamento dove l’abbiamo girato e vorrei possederlo. Pensate che è disabitato”, ha spiegato il regista.
Renato Carpentieri, napoletano DOC, ha aggiunto: “Quello che ha scelto Gianni era quello che facevo io, quei posti li conoscevo a menadito, c’era una dinamica affettiva, mi ha fatto girare vicino alle Poste, la Facoltà di Architettura, piazza del Gesù, erano il mio passeggio quotidiano. Questa Napoli è la mia, ma ha scelto la mia”.
Elio Germano è tornato sulla scena del terrazzo: “Prima dicevo delle altre cose, che non erano verità Il mio personaggio non si capisce mai cosa sia vero, loro due avevano versioni diverse. Queste cose sono diventate più sottili per quel misterioso momento medianico di quella scena. È un personaggio che finge di stare bene, ma non lo è”.
Il regista non ha voluto presentare il film a Cannes: “E ne sono contento, siamo sereni, distesi, parliamo del film. Vi ricordate come sono le conferenze stampa dei festival? Quattro strozzate, le prime quattro domande sono fatte da gente abusiva e alla sesta domanda devi andartene via. Quattro volte a Cannes e sette volte a Venezia, cosa vorrei da questo film? Il pubblico, abbiamo fatto un film con tale onestà e carica di passione e amore e semplicità. Non va dato in pasto con altri quattro film al giorno. L’avete visto con serenità, questo film l’ho fatto per il pubblico. Voi siete un pubblico specializzato”.
La tenerezza per Giovanna Mezzogiorno “è un valore enorme, senza fare Sociologia di serie C, in un momento storico in cui i sentimenti sono scatolari in determinate cose. Mi sembra sempre più difficile, non è quasi mai disteso, rilassato, i rapporti sociali sono carichi di insidie e fanno paura, è un’umanità che vedo intorno a me che vive il rapporto interpersonale con stress. Come una cosa faticosa, quasi come una riflessione. Tenerezza come antidoto a tutto ciò dovrebbe essere giusto e sarebbe equo, con i bambini piccoli è facile perché il loro rapporto interpersonale non è ancora inquinato dall’ansia. Il rapporto con i bambini è facile perché è pulito, ti permette e dà libertà senza ostacoli, quello degli adulti è un mondo impicciassimo. Avere gesti di tenerezza sono fondamentali”.
Per Micaela Ramazzotti, la tenerezza “è la curiosità, se sei curioso degli altri la provi. Provi la curiosità di ficcare la vita e nell’umanità, siamo sempre un po’ malconci e provi un po’ di tenerezza. Sono delle cose che vanno insieme, se la provi sei un passo avanti, non è semplice”.
Una frase del film, attribuita a un proverbio arabo, recita: La felicità è una casa a cui si guarda indietro, ma il regista non conosce l’autore della citazione, “ma corrisponde a tutta la mia filosofia. Cito Musil che diceva in una sua opera, I Fanatici, non si è mai tanti in noi stessi come quando perdiamo il cammino, qualche volta perdersi per strada significa ritrovarsi. La soluzione delle cose non va cercata chissà dove, la felicità è ritornare sui propri passi quando si è persa la strada. Quanto ti perdi per strada, non andare troppo avanti, torna indietro qualcosa trovi. Questo dovrebbe insegnarci a essere più morbidi, esserlo significa, come ho scritto di Germano: Forte come il vetro, fragile come l’acciaio. Due ossimori che rendono l’idea, forse non lo sono, sono necessità, saggezza di vita”, ha spiegato il regista.
“Mi piace molto dei personaggi che non hanno maschere: abbiamo Lorenzo che ammette, senza retorica, di non aver mai amato la moglie. La scena con Lorenzo ed Elena e il poliziotto”, ha continuato il regista.
Prodotto da Agostino Saccà, l’ex patron della Rai, si è commosso rivedendo il film: “Lavorare con Gianni è un ossimoro, è un grande poeta e anche una macchina con le idee chiarissime. Erano tanti anni che non piangevo, questa mattina La Tenerezza consente di abbandonarsi. Ho visto tante volte, ma questa mattina ho pianto molto, forse per l’età, forse perché sono padre, in questo film mi sono riconosciuto. Questo film rappresenta la condizione di crisi dell’Occidente, la crisi della paternità, nessuno si prende la responsabilità di guidare”.
“Fare un film è comunque un viaggio, quando coincidono le due cose: il viaggio che facciamo noi stando insieme e realizzando un film e il viaggio dei personaggi, succede qualcosa di sorprendente e di nuovo sempre. Mi piace raccontare delle storie in cui i caratteri e i luoghi non siano statici, non ci si fermi a quella stazione. A 99 anni lo farò, farò uno stato d’animo fermo e placato, e mi faccio un selfie. L’idea del cinema è viaggiare, muoversi con i personaggi che si muovono”, ha concluso il regista.