L’Equilibrio, Vincenzo Marra parla del suo film

Al cinema dal 21 settembre, presentato a Venezia nelle Giornate degli Autori. Ambientato nel degrado della periferia di Napoli

La Chiesa lotta con la criminalità organizzata nell'ultimo film di Vincenzo Marra: L'Equilibrio

L’Equilibrio è il titolo dell’ultimo film di Vincenzo Marra, il regista napoletano ha presentato il suo film alla stampa italiana. L’Equilibrio racconta dei difficili rapporti fra un prete e la criminalità organizzata nella periferia napoletana. Il film è stato presentato alle Giornate degli Autori.

Il regista non vuole specificare dove l’ha girato:

“Ho girato tutta la periferia di Napoli un’altra volta, la prima volta l’ho fatto nel 1999 per Estranei alla massa. Ho visto delle realtà qui che non mi va di dire i nomi per un motivo semplice: qui vivono delle persone bellissime, ma abbandonate a loro stesse, proprio come nel film. Le realtà sono quelle, in un’ora e quaranta di minuti si arriva lì e le persone sensibili, quello che vedono, se lo portano addosso”.

L’Equilibrio rappresenta tutto il degrado sociale e umano della periferia napoletana:

“Sì, l’ispirazione è una periferia in particolare, ma non era possibile girare lì. La periferia di Napoli è una ferita. Quando giravamo abbiamo visto delle scene brutte che fanno male al cuore: i bambini che, la mattina, non vanno a scuola e avevano 10 anni. Un giorno mi ha attirato l’attenzione è che noi eravamo imbacuccati, loro avevano le felpe, le scarpe estive. Questa storia per me è una ferita al cuore, non avevo la forza di fare nulla”.

La storia è senza speranza di questa periferia, una novità nella filmografia del regista:

“Negli altri miei film era presente, qui don Giuseppe ci prova, ma alla fine in chiesa non ci va. Lui riesce a salvare qualcuno, ma è chiaro che ci piacerebbe sempre immaginare una realtà che cambia. A 45 anni dopo aver viaggiato e realizzato dei film, vivo fuori dall’Italia per metà del tempo, cosa si può dire di questo Paese? Sono le considerazioni finali di don Antonio”.

Il film a Venezia era in lizza per il Leoncino d’Oro, il premio dei Giovani, quando ha parlato con la giovane giuria, Vincenzo Marra ha fatto loro una semplice domanda:

“Quanti di voi pensano di dover andare via dal Paese per avere un futuro? E tutti hanno alzato la mano, questa mancanza di speranza è presente anche nei ragazzi borghesi, pensate se venite da una periferia del genere”.

Nei suoi film precedenti il regista aveva parlato di altre sfaccettature legate alla malavita organizzata:

“In Vento di terra uno dei personaggi voleva abbandonare un clan e probabilmente finisce per indossare una divisa. La mia ossessione era chiedermi chi andava a morire in Iraq… e sono i neri dell’Alabama. Quali sono le possibilità che ci sono oggi? La battuta che dice Saverio, uno dei personaggi del film, mi danno 50 euro a settimana, sono cifre vere. Un ragazzo che guadagna 60 euro alla settimana, le cifre sono molto basse”.

Il regista ha citato spesso Roberto Saviano: “Sono d’accordo con lui che non esiste l’idea del futuro. Esiste l’idea del presente, del ‘mo’, dell’adesso. Quello lì non si creano problemi, guadagna quei soldi e basta”.

L’Equilibrio è un film duro, ma almeno nel corso delle riprese non ci sono state difficoltà:

“Faccio tutto alla luce del sole, questo film ha un basso budget ed è stato fatto con amore. Per motivi ideologici non scenderei mai a patti. Porto la mia faccia, il mio entusiasmo, la mia voglia. Per loro, i protagonisti del film, sono spesso e volentieri disabituati alla presenza di una parte positiva. Per loro è un’occasione importante, è paradossale ma loro sopportano di più le situazioni antipatiche legate alle riprese: le macchine di notte, il blocco del traffico… perché loro vedono che stai facendo qualcosa di positivo e ci stai mettendo le migliori intenzioni”.

Questa sensazione è stata accresciuta dall’uso di attori non professionisti:

“Molti di loro sono del quartiere là, la parte brutta e drammatica è quella quotidiana: la difficoltà a digerire una realtà del genere”.

In una delle scene simbolo, don Giuseppe toglie via la capra del boss “parcheggiata” nel campetto di calcio dell’oratorio:

“Sin dall’inizio della mia carriera, sin dal mio primo film, realizzato a 27 anni, avevo uno scambio di chiacchiere con mio padre che adesso non c’è più. A lui avevo detto che volevo fare un film cristologico, cioè fare il cammino di Cristo nascosto in una storia terrena. Per altro mio zio è prete, tutto il discorso biblico da inserire, attraverso l’allegoria e le metafore che mi sono venute in mente durante la stesura del copione, un copione fortunato che ho scritto in 13 anni, scritto di getto e di pancia, quelle metafore erano l’ovile, le pecore, il campetto dei tossici era un girone dell’Inferno dantesco”.

Don Giuseppe è pronto a fare un sacrificio “è pronto con la porta aperta”. Il regista ha anche lavorato molto sul concetto di paura: “Vivendo fra l’Italia e il Sud America, io mi sono fatto l’idea che in questo Paese siamo attanagliati dalla paura, questo è trasfigurato in tutta la società: hanno paura del futuro, di non essere felici, delle relazioni, delle malattie. Noi che siamo nati in zone d’Italia più complicate, ci parlano di omertà, cos’è? È un deterrente straordinario perché dall’altra parte c’è la morte, se vuoi essere omertoso finisci per diventare un eroe”.

Così nel film L’Equilibrio la battaglia per la verità di don Giuseppe diventa messianica:

“Lui è un monolita, è una sorta di Gesù Cristo, ecco perché questi piani sequenza. Abbiamo lavorato sulla sua camminata, procede senza esitazioni, e lui va avanti senza paura. Giuseppe non ha paura e non può chiudere gli occhi davanti a questa realtà”.

In una scena chiave del film don Giuseppe non indossa la catenina con il Crocifisso: “È una messa in discussione evidente però su quello non sappiamo. Quando mi chiedono cosa sia politica, rispondo la stessa cosa. Fare politica è come vivi la tua giornata: se paghi le tasse, se hai pensieri altruisti. Questo è fare politica, lo stesso è fare il sacerdote. L’idea del suo culto è messa in discussione”.

Anche don Giuseppe però ha comunque paura. L’Equilibrio è un film pessimista?

“Quando Cosa Nostra fece quello che ha fatto nel 1992, oggi è stato dimostrato che c’è stato un accordo fra Stato e mafia. Oggi i politici che l’hanno firmato, mi direbbero che sono stati fatti per mantenere l’equilibrio, per il bene supremo del Paese, questo compromesso è stato fatto per salvare te. La polizia che sta lì solo con una macchina o le persone che vivono in queste realtà sono abituati, il bambino glielo dice a don Giuseppe: Fatevi i fatti vostri. Negli ultimi 25 anni, siamo andati meglio o peggio”.

L’Equilibrio è uno dei film d’impegno italiani come L’Intrusa, può il cinema aiutarci a riflettere?

“Alcune persone della periferia vedranno il film per rivedersi, ma al di là della retorica, penso che siamo sotto attacco di tutto. Un borghese che va al cinema a cercare delle cose: questa vecchia idea che il cinema deve essere solo intrattenimento. Beati chi si intrattiene con quella roba là. Se uno vede un film, forse si sente più pieno, forse però rivaluti quello che hai tu”.

Per Vincenzo Marra non c’è una polemica legata a Gomorra: “Ribadisco da anni, meno male che in questo Paese sia nato uno come Roberto Saviano, come dice lui: sono molto odiato. Si è tornati a parlare di alcuni temi, penso sia stato importante. Quando giravo Vento di Terra nel 2003, Scampia era un supermercato, noi eravamo lì per i sopralluoghi e mi hanno colpito una volta le ‘divise’: il pizzaiolo, il netturbino, l’infermiere e l’operaio, tutti con le proprie divise. Tutte le classi sociali in fila per acquistare la droga. Molte, tante periferie continuano a essere così”.

L’Equilibrio parla di religione, nel Sud ci sono molti preti eroi. Nel film è presente un confronto fra don Giuseppe e don Antonio, ma non c’è nessun dialogo fra don Giuseppe e suor Antonietta:

“Non è un problema culturale, è un problema economico e di sofferenza. Antonietta avrebbe dovuto salvaguardare quella sfera. Anche fra i due attori che interpretavano i due preti avevano preso posizioni diverse. Don Antonio dice siamo abbandonati da tutti, a nessuno frega che sei prete. Per queste dinamiche hanno sciolto un bambino nell’acido. Quello che pensa don Giuseppe è invece: dobbiamo occuparci di salvare le persone buone”.

Vincenzo Marra ha spiegato che ha poi aggiunto qualcosa a L’Equilibrio:

“I miei film hanno la stessa durata delle partite di calcio: 90 minuti perché amo molto il calcio. Quando ho fatto il film ho pensato che è l’unico momento in cui ci sono due papi vivi: don Antonio pensa al culto, mentre don Giuseppe pensa che camminare, andare e impegnarsi è la sua visione, è un approccio differente. Ci posso fare due papi”.

L’analogia fra i due preti dell’Equilibrio e i due papi finisce lì:

“La prima cosa che gli dice Maria che sta morendo in ospedale è: ti hanno mandato in un posto così. C’è la consapevolezza dell’inferno, don Antonio gli dice: combatti a mani nude contro il diavolo? La sua coscienza gli impedisce di intervenire, è un discorso che fa parte delle sue viscere”.

L’Equilibrio presenta anche una scena simile alla crocifissione, nel suo film Marra unisce la finzione al documentario:

“Il cinema è uno sport estremo opinabile”, scherza il regista che si sofferma anche a parlare della rinascita partenopea della settima arte vista a Venezia 74 dove sono stati presentati ben sette film ambientati a Napoli: “Se qualcuno fa cinema a Napoli, sono felice. Sono molto felice che ci siano persona della mia terra che facciano del cinema: ho 45 anni e al cinema ho dedicato buona parte della mia vita”.

In L’Equilibrio possiamo ascoltare due brani del dj elettronico tedesco Apparat:

“Volevo qualcosa di molto moderno, ho messo solo un pezzo sacro alla fine. È stato una scommessa: ho inserito dei pezzi liberi che Apparat aveva e sono contento perché c’è molta evocazione e anima dentro”.

Per il regista, il film “non ha a che fare con il singolo avvenimento, ha a che fare con la storia di qualcosa che ha duemila anni. Ho sempre ragionato come un chirurgo oncologico che vede morire le persone, ma resta un essere umano. Non può piangere per i morti che ha visto, l’idea era abbinare il territorio come una malattia mortale e poi c’è questo titolo che è una provocazione: l’equilibrio esterno, il mantenimento di, o quello dell’anima di ognuno di noi. Ognuno deve fare i conti con il proprio singolo”.

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