Racconti d’arte – Il cane lagotto nella pittura

Inauguriamo una serie di approfondimenti d'arte che andranno a comporre un nuovo canale podcast.

cane lagotto
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Dopo le due Sofonisbe a cura di Claudio Strinati, nuova puntata sul ritratto del Guercino che
accarezza un esemplare della razza autoctona del Delta del Po.
Luglio 2020 – Amico fedele per antonomasia, il cane ha sempre avuto un legame molto forte con il
proprio padrone, tanto che nel corso dei secoli molti pittori hanno realizzato ritratti di signori
accompagnati dai loro fedeli compagni di caccia o di gioco. Grazie a queste testimonianze visive,
oggi noi possiamo conoscere l’aspetto e l’importanza che ricoprivano i cani all’interno del
ambiente familiare o di corte, e soprattutto l’evoluzione delle loro razze. Osservando i ritratti
nobiliari si può comprendere facilmente che i nobili preferivano i levrieri, velocissimi cani da
caccia, mentre le dame e le bambine si accompagnavano ovviamente a cani di taglia più piccola,
come gli spaniel. Quest’ultima razza divenuta un vero e proprio attributo iconografico di fedeltà
coniugale.
Alla luce di queste riflessioni, salta all’occhio un curioso dipinto appartenente alla Fondazione
Sorgente Group di Valter e Paola Mainetti che raffigura uno dei massimi esponenti della pittura
barocca italiana, il Guercino, che si fa ritrarre assieme alla madre e a un magnifico esemplare di
cane dal pelo riccio e folto.

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Si tratta di un Lagotto di Romagna, una razza autoctona delle
zone paludose dell’entroterra compreso tra la città di Ravenna
e il Delta del Po, in un territorio assai familiare al Guercino, che
era originario di Cento.
Il nome Lagotto, di chiara origine dialettale (Càn Lagòt),
deriva da un piccolo paese di nome Lagosanto nel cuore della
Valli di Comacchio, i cui abitanti sono tuttora chiamati
“Lagotti”. La sua presenza in quelle zone sembra risalire

addirittura agli etruschi: raffigurazioni di un animale rassomigliante sono state individuate in
alcune pitture parietali nella Necropoli di Spina.
Ritornando al dipinto, un dettaglio di assoluta importanza è costituito dal collare dell’animale: una
fascia rossa sulla quale è riportato lo stemma araldico dei Farnese di Parma, decorato con bianchi
gigli. Una famiglia, quella parmense, per la quale Guercino portò a compimento il ciclo di affreschi
della cupola nel Duomo di Piacenza. Questo prezioso riferimento ai Fanese ci fa supporre che il
cane sia stato un dono dei duchi al Guercino, come ulteriore ringraziamento per la realizzazione di
quell’unica committenza. Un dettaglio che ci consente di datare il dipinto attorno al 1627, dopo il
compimento del ciclo di affreschi.
Considerata l’atmosfera familiare che traspare dalla composizione e la totale assenza di elementi
aulici, si può supporre che l’autore del dipinto sia da ricercarsi all’interno della cerchia ristretta dei
parenti (molti dei quali erano pittori) del Guercino e in particolare nel fratello: Paolo Antonio
Barbieri. L’attribuzione alla sua mano giustificherebbe lo stile un po’ acerbo dell’opera – in quel
periodo avrebbe dovuto avere circa 24 anni – e altresì anche un’evidente ammirazione verso il
fratello maggiore: un sentimento sincero e affettuoso che avvolge completamente la
composizione e trapela al punto da coinvolgere lo stesso spettatore in questa atmosfera tenera e
conviviale. Il dipinto di Fondazione Sorgente Group assume così un importante valore
documentale che ci aiuta ad arricchire la nostra conoscenza della vita privata del grande maestro
barocco.
Gian Maria Mairo
Curatore per la pittura
Fondazione Sorgente Group

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