Solo le calamità riuniscono l’Italia faziosa

Nelle sciagure ci sentiamo un popolo unito. Ma dura troppo poco, però. Ed è sempre più attuale la frase storica "l'Italia è fatta, bisogna fare gli italiani"

un porto ligure

Non è questa l’Italia Unita che volevamo vedere. E invece è stato il MALTEMPO, con tutta la violenza possibile, ad unire la penisola da Nord a Sud tra nubifragi e onde alte fino a 8 mt. Tutti in pena per tutti e tutti pronti ad aiutare i più sfortunati.

Ma ci deve far riflettere quando solamente le tragedie riescono a ricompattare una popolazione. Una ventina circa i morti finora accertati, sgranano il dolore lungo tutta l’Italia. L’importo dei danni non è stato ancora quantificato ma sarà, senz’altro, impressionante. E non è finita. Per altri giorni il cielo si preannuncia, nuovamente, nemico. Il fango, le frane, i porti distrutti, le spiagge cancellate, case e negozi allagati, le scuole chiuse e la conseguente manifestazione di insofferenza dei genitori; questi sono gli argomenti comuni che consolidano il senso comune e nazionalista.

Certo si sono verificati fenomeni e perturbazioni che nemmeno i vecchi ricordano ma perchè solo l’angoscia e lo sfascio riescono a farci sentire legati? Forse perchè le lacrime sanno di sale per tutti? O forse perchè ci sentiamo tutti vittime di un unico nemico?

Ma l’unità nazionale non deve e non può “rialzare” la testa solo in frangenti tragici e violenti. Per poi rientrare, passata l’emozione e l’orrore, nell’individualismo fatto di noncuranza e disinteresse. Certo son lontani e dimenticati (anche dai libri di storia) gli anni in cui l’Italia divisa aveva un unico ideale politico e sociale: l’effettiva unità. Poi raggiunto quello scopo e subentrata la politica, anzi le politiche rifiorirono sempre più vigorosi e accaniti  campanilismi e  faziosità.

Oggi ci ritroviamo, per brevissimi attimi, tutti Italiani, con la mano sul cuore e magari gli occhi umidi ,soltanto di fronte alle catastrofi. Il resto è fatto di male parole urlate durante i talk show. Non cambiamo mai: non scattiamo in piedi per l’inno nazionale, pochissimi lo cantano per intero, nessuno uomo porta sulla giacca la spilla con il tricolore e nessuna casa o balcone ne ha uno appeso fuori…già, a ben pensarci, non è un film americano e noi del senso patrio abbiamo solo qualche brividino. Da tener nascosto. Si perchè pare che ad essere nazionalisti ci sia da vergognarsi. Siamo diventati come dei carbonari ma “al contrario”. Non c’è un solo punto capace di calamitarci e renderci compatti. I partiti e i movimenti si riproducono fra il poco interesse della collettività, che sfiduciata, stanca e vessata non va più a votare. L’unico chiaro senso di appartenenza da esternare e difendere con le unghie e coi denti viene affidato ad un pallone che un giorno si e l’altro pure viene preso a calci da implumi miliardari.
Tutte queste parole per arrivare a dire che questa “Italia derubata e colpita al cuore”* la vorremmo vedere UNITA E FORTE non solo nel dolore e nelle ferite ma, soprattutto, NELLA RICOSTRUZIONE DI SE STESSA. Con impegno e rabbia perchè non continuino ad esistere realtà come l’Aquila, l’Emilia Romagna, Sarno, il ponte Morandi e mille altri. Dolori gravissimi ma troppo presto dimenticati e di cui restano solo le macerie. Quando ogni sasso sarà tornato al suo posto, ogni roulotte sparita, ogni ponte reso transitabile e sicuro, allora potremo dire: “Viva l’Italia Liberata, viva l’Italia tutta intera“*

*da Viva L’Italia di Francesco De Gregori

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