Atac, strada tutta in salita verso il concordato

Il Campidoglio vuole l'accordo con i creditori, ma se i numeri 2016 sono veri non sarà facile trovare l'intesa. Anche perchè manca il piano industriale

Si fa presto a dire concordato preventivo. Ma la strada di Atac verso la salvezza è molto più stretta di quello che sembra. All’indomani del consiglio comunale che ha sancito il via libera alla procedura fallimentare bisogna necessariamente cominciare a fare qualche calcolo sull’effettiva riuscita del piano (qui una spiega del concordato).

Tanto per cominciare il concordato è un accordo creditore-debitore, dunque senza il consenso dei primi non se ne fa nulla. Ed è difficile pensare ad un accordo rapido dinnanzi a un’azienda con, almeno secondo le voci che circolano in queste ore, perdite triplicate rispetto all’anno prima, senza considerare il maxi-debito da 1,3 miliardi.

Ma, cosa più importante, manca ancora un piano industriale. Ammesso il concordato, in che tempi, modi e soprattutto con quali risorse fare fronte ai pagamenti. Senza dimenticare un altro aspetto. I fornitori, che poi sarebbero anche i creditori, hanno già avuto delle ricadute economiche a causa dei mancati pagamenti di Atac.

A conti fatti, dalla giunta Raggi manca ancora una vera road map che accompagni la procedura di concordato. Il Comune peraltro non ha previsto tagli al personale, dunque nessun sacrificio in Atac. Il tribunale dovrà darsi da fare per trovare un accordo tra le parti.

Intanto ieri la Raggi ha ricordato come “per effetto di politiche sciagurate Atac rischiava il fallimento. Noi la salveremo mantenendola saldamente in mano pubblica. Salveremo un patrimonio che appartiene a tutti i romani, rilanceremo il servizio pubblico. Lo strumento per concretizzare questo impegno si chiama concordato preventivo in continuità (qui l’anticipazione di agosto di Radiocolonna.it“, ha attaccato Raggi in apertura di consiglio.

“Potremmo rifinanziare la società avallando l’ennesimo spreco di risorse pubbliche, senza cambiare nulla, magari a fronte di facili consensi e ritorni elettorali e invece no: abbiamo messo le mani nel disastro ereditato. Perché noi abbiamo voluto scoperchiare senza paura e una volta per tutte il rapporto malato tra il comune di Roma e Atac, tra la politica e le società partecipate che nel tempo si sono trasformate in bancomat della politica”.

 

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