Apple: quel morso che fa crollare le borse

La lettera di scuse e spiegazioni che Tim Cook ha rivolto agli azionisti di Apple vale ben poco. Anzi spinge i mercati verso una sfiducia che sa di globalità

mela e morso

Come nella favola di Biancaneve anche il morso della Mela di Apple alla fine si è rivelato “tossico”.

Non fatale ma sicuramente molto dannoso per tutti i mercati e per il sistema fiducia/titoli azionari.

Apple è una delle più grandi e forti aziende del mondo con una capitalizzazione che non “teme” confronti. Nata nell’aprile del 1976, un po’ per gioco un po’ per amore della tecnologia, Apple introduce presso il grande pubblico le più sofisticate e incredibili innovazioni tecnologiche. Lanciato il suo primo progetto che consentiva di effettuare chiamate con modalità completamente gratuita: l’ormai “lontano” “Blue Boxe” è come se quella scatola blu ereditasse le stesse proprietà magiche della lampada di Aladino. Da lì parte la corsa inarrestabile dell’azienda di Cupertino che contribuisce in modo irreversibile a trasformare il modo e il mondo del lavoro, dell’operatività e dell’informazione. Con queste premesse anche il mondo si fa più piccolo ed accessibile e la Apple diventa uno dei veri motori della globalizzazione.

Lanci continui di nuovi prodotti invadono l’immaginario e il desiderio collettivo, vendite e ricavi da capogiro sembrano senza soluzione di continuità. Oddio, nella grande rete restano impigliate anche le cause, le accuse e le magagne. Non ultima quella sulla violazione della privacy. Forse la più grave ed odiosa. Ma nonostante le class action e le salatissime multe pagate, niente, finora, è stato in grado di mettere in ginocchio il colosso.

Fino al giorno in cui alla Casa Bianca viene eletto il presidente col ciuffo: ossia Donald Trump. Fra sgomento e timori generalizzati, le borse e i mercati rispondono benissimo e gli USA, fra dazi e muri, marciano forti e sicuri nella loro crescita. Ma dazi, muri e scontri diretti fra USA e resto del mondo alla fine si dimostrano NON una prova di forza ma una gabbia fatta di autarchia dagli orizzonti molto ridotti. Soprattutto in questo momento in cui si assiste ad una frenata generale e ad una contrazione diffusa dei consumi.

E’ risaputo che il più grande e importante mercato del mondo è, a tutti gli effetti, la Cina che negli ultimi anni ha viaggiato con crescite a doppia cifra e consumi in continuo progresso. Ma valutare l’impero del Dragone come lo zoccolo duro del proprio fatturato può costare caro. Anzi carissimo. Per Apple questo errore di valutazione ha pesato per 446 mld di capitalizzazione e il titolo ha perso il 9,96%.

La grave debacle del titolo ha messo in ginocchio Wall Street che si è tirata appresso tutte le altre borse facendo registrare momenti di paura. Perchè dietro ad Apple c’è un indotto che va dalle banche alla componentistica, passando per il packaging, le applicazioni e l’oggettistica complementare.

Ma il vero knock down di questa situazione ha scaraventato a terra la fiducia di tutto il sistema mercato. Molte altre aziende si rivolgono, in prevalenza, al mercato orientale e l’affaire Apple indica con precisione le prossime tendenze. E sofferenze.

Ma se la Cina con il suo miliardo e mezzo (circa) di abitanti affronta un periodo di inerzia commerciale, non stiamo certo meglio noi; ancorati a un sistema bancario precario, a una borsa di piccole dimensioni, alla cronica mancanza di lavoro e all’altrettanto cronica inadeguatezza delle istituzioni.

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