Il dg di Atac Bruno Rota, già nell’intervista di ieri al Corriere della Sera, aveva espresso tutto il suo pessimismo e la sua contrarietà per la situazione passata, presente e futura della municipalizzata. Un buco tanto catastrofico quanto sottovalutato dalle varie amministrazioni. Una sfida, quella della gestione di Atac , accettata forse sull’onda dei successi raggiunti con ATM a Milano. Ma nella Capitale (mafia o no, mazzette o no) ogni sfida diventa titanica e fiaccante. Sempre ieri, dalle pagine del Foglio, a Riccardo Magi non è parso vero di rincarare la dose e di ribadire l’urgenza e la necessità del referendum per la messa a gara del trasporto pubblico romano. Rota comunica la sua prognosi infausta: ancora 2 settimane di vita per Atac. Ormai il malato è terminale. E forse ipotetiche cure provvisorie potrebbero peggiorarne la situazione. Una sola domanda dott. Rota: ma non poteva dircela chiara e tonda fin da subito la reale situazione del trasporto capitolino?
Dal Campidoglio, come sempre, filtra poco o niente. Se il dg Rota mollasse l’ingrata poltrona (come ventila oggi il Messaggero) niente paura: il sindaco Raggi e la sua cerchia, in questo caso per niente magica, sono abituati ai rapidi cambi di dirigenza.
Ma quanti ne son passati fra assessori, vice, direttori, soci sostenitori…? Quanti “amici esperti e fidati” son stati velocemente “disconosciuti”? Troppi per farci credere che l’amministrazione pentastellata abbia basi solide, validi consulenti e truppe sicure. Ed è , anche, giusto immaginare che un uomo con il curriculum del dott. Rota non voglia buttare a fiume la propria reputazione manageriale. Soprattutto a causa di perduranti esercizi di gestione grossolanamente “perversi”.