Fine del lockdown, evviva. Anche no, almeno per Atac. La municipalizzata dei trasporti, perennemente in bilico tra rinascita e fallimento, rischia di pagare caro il cosiddetto ritorno alla normalità. La premessa: il crollo del trasporto pubblico, causa coronavirus, rischia di mandare a gambe all’aria il concordato dentro cui Atac si trova. Tanto che, secondo i calcoli degli esperti della municipalizzata, servirebbero subito in cassa non meno di 200 milioni.
Va bene, ma ora? Ora il problema è che nei bus bisognerà mantenere una distanza sociale di un metro. Dunque meno persone a bordo, meno ticket pagati e forse anche meno voglia di prendere i mezzi. L’eredità psicologica del coronavirus è d’altronde ancora forte.
Di più. Con le attuali indicazioni sul distanziamento di un metro, la flotta Atac che riprenderà il servizio con orari normali, sarà costretta a viaggiare praticamente vuota. Perché nei bus da 12 metri, ci sono circa 100 posti, fra la ventina a sedere e quelli in piedi. Ma, ad accoccolarsi sui comodissimi sedili potranno starci solo otto persone. E non molti di più quelli che potranno stare in piedi. Su 100 passeggeri teorici, se va bene, potranno entrarci una ventina di persone. Se va bene.
In quelli da otto metri, i numeri sono ancora più irrilevanti: resteranno 4 posti a sedere e meno di una decina in piedi. Infine, i jumbo bus, quelli da 18 metri snodabili: a sedere potranno starci fra le 12 e le 15 persone e un’altra ventina in piedi. Insomma, bene ma non benissimo.