Non è che il 30 maggio sia posi così lontano. Quel giorno il Tribunale di Roma si farà un’idea piuttosto chiara circa le sorti di Atac, aggrappata come non mai al verdetto dei giudici. Quel giorno, nell’udienza fissata in mattinata, si saprà se il piano di rilancio messo a punto dallo staff del presidente Paolo Simioni ha reali speranze di essere approvato, consentendo alla municipalizzata dei trasporti di superare indenne uno dei passaggi più delicati del concordato preventivo.
Tutto, alla fine, ruota intorno a due voci di bilancio, con la sponda dei sindacati in sottofondo. E cioè, debito e redditività. Sulla prima la domanda dal classico milione di euro è: come farà Atac, schiacciata da 1,3 miliardi di debito, a rimborsare i suoi creditori. Non che la seconda domanda sia meno difficile. Anche qui, in che modo l’azienda conta di tornare a una redditività strutturale, magari in pochi anni, così da evitare nuove crisi di liquidità nel breve-medio termine? Insomma, evitare il cosiddetto “ci risiamo”.
Sulla prima la strada è abbastanza stretta perché in realtà c’è una domanda nella domanda, ovvero quale sarà la gerarchia dei rimborsi? Prima il Comune-azionista, primo creditore di Atac. O le banche, cui Atac deve quasi 180 milioni. O la miriade di piccoli fornitori rimasti con le fatture non saldate in mano?
Premesso che da qui a fine mese di ipotesi se ne possono fare tante e anche nella stessa Atac non c’è una linea di pensiero fissa, ad oggi la municipalizzata intende posticipare il rimborso del debito al Comune. Il che apre un’altra incognita. Dove troverà i soldi il Campidoglio per investire nella nuova flotta, visto che, l’ultimo caso è di pochi giorni fa, i mezzi di superfice romani sono arrivati addirittura a prendere fuoco da soli? E’ vero che la giunta Raggi ha già stanziato più o meno 160 milioni di euro per nuovi autobus, ma potrebbero non bastare. E allora potrebbero tornare utili i crediti vantati verso Atac. Stando comunque ai numeri, prima dovranno essere soddisfatti tutti gli altri creditori, ovvero banche e fornitori, mentre per il Comune il rimborso sarà così spalmato: un 30% subito, il 31% entro il 2027 e il restante 30% non oltre il 2036. Fin qui il capitolo rimborsi.
Poi c’è l’altra questione calda, quella del lavoro. Anche qui occorre fare un po’ di chiarezza. I giudici non possono accettare un piano industriale che non contempli un solido appoggio dei sindacati, notoriamente molto forti in Atac. In realtà un accordo tra azienda e sindacati già esiste e prevede un primo sì all’aumento della produttività, due ore in più a settimana. Non è poco per un’azienda come Atac, ma la questione apre la terza e ultima incognita, quella della redditività. Atac punta molto all’incremento delle ore di lavoro e al taglio delle corse poco efficienti e redditizie. Ma basterà a macinare fatturato sufficiente per coprire le perdite? Il concordato Atac, se vuole passare il vaglio dei giudici, dovrà stare in piedi su questi tre pilastri. Non ci sono scorciatoie.