La crescita esponenziale degli outlet cittadini e le infinite code che, nei giorni clou, bloccano strade e autostrade in direzione dei villaggi outlet fuori città, oltre a segnare una evidente svolta nel modo di comperare ci spingono a mille domande. Soprattutto nei momenti di offerte, saldi e vari black, per quanto il mercato risponda con generosità e entusiasmo, è sotto gli occhi di tutti la quantità di merce invenduta. E allora tutta questa roba dove va a finire? Abbiamo parlato con un esperto che dall’interno di un famosissimo brand mondiale, fra: sfilate, acquisti, gestioni, vendite e smaltimento delle rimanenze ha passato la vita. Ed è lui che ci spiega tutti i vari meccanismi. I canali per “eliminare” l’invenduto nel modo più indolore possibile sono sostanzialmente due. Il primo che è anche il più sicuro, redditizio e ben visto dalla casa madre è quello di alimentare, appunto, i grandi punti outlet . Se ci pensate un attimo ogni brand, dal più piccolo al più grande, è ben rappresentato e molto fornito in ogni punto di vendite scontate della Penisola. Così ogni nuovo “centro commerciale” diventa un’ulteriore occasione per smaltire i capi rimasti (anche di collezioni non proprio freschissime). Si è arrivati al paradosso che il volume di fatturato veramente importante proviene proprio da lì e non, come si potrebbe immaginare, dal punto vendita su strada. Insomma la boutique monomarca diventa quasi la vetrina del punto discount. Resta sempre valido il sospetto più che fondato che parte dei capi che troviamo “in offerta” nasca già con quella destinazione. Se resta della materia prima in fabbrica, nulla di più facile che venga riconvertita in merce per il discount. Stoffe, pellami ecc, magari con qualche piccola modifica gradita dal mercato, finiscono appesi all’outlet. Originali e garantiti, come cerchiamo noi, ma lievemente diversi dalla collezione base. Questo nulla toglie al valore e al prestigio del marchio! Praticamente, oggi, più nessun negozio fa magazzino. Quindi ecco sorgere come funghi questi “villaggi del desiderio”. Posteggi di lusso per quel che rimane! Esiste ancora ma, meno determinante di una volta, la figura dello stocchista. A questi si affidano più facilmente i multi brand o i marchi minori. Il lavoro dello stocchista è estremamente variegato come variegati sono i suoi canali di vendita. Di queste montagne di invenduto si nutrono le miriadi di piccoli outlet, i centri “grandi firme” e i negozi chiamati appunto “stocchisti” dove i prezzi, a volte, non hanno un vero riscontro con la realtà iniziale. E come possiamo notare qui a Roma esistono vere e proprie “catene” di luxury outlet multibrand che offrono tutti, indistintamente, la medesima mercanzia. Certo qui la roba costa pochino ma anche pochino porti a casa. Fanno da richiamo alcuni nomi straconosciuti, dove 2/3 capi di collezioni più che polverose ingolosiscono il passante. Il resto non ha MAI storia e i tessuti parlano da soli. Poi dopo tutto questo vagabondare da uno stendino all’altro e sempre con moto discendente si arriva al MERCATO, alla bancarella che promette e, qualche volta offre, griffe altisonanti. Se il nostro più vivo desiderio passa dal “purchè sia firmato” ecco che anche il banchetto può dare una briciolina di felicità.
Ormai la smania dell’etichetta “importante” ha stravolto ogni logica di eleganza, qualità e unicità e questo, a sua volta, ha indirizzato sia la produzione che la vendita al dettaglio verso territori che hanno, ancora, molto da esprimere. Ribadiamo una volta di più che la merce offerta nei “villaggi del desiderio” NON è quella della collezione in corso e che se, proprio, vogliamo essere assolutamente IN, è forse più adatto aspettare le varie offerte e i saldi e comperare nella boutique di riferimento. Molto, ma molto più raffinato!!!
Con l’outlet il brand fa il vero fatturato
Pensiamo sia una furbata colossale fare ore di fila per andare all'outlet e comperare, finalmente, la grande firma? Mica vero. E qui vi diciamo perché
