Coronavirus: l’allarme dei tatuatori romani, fateci aprire

A Roma 306 studi di tatuaggi che ora rischiano grosso. La Cna: tanti sacrifici non possono essere vanificati

E pensare che era uno dei pochi business in forte espansione, immune da crisi di ogni sorta. Ora però il tatuaggio rischia di vedersela brutta, causa coronavirus. Sempre che dal governo non arrivi un via libera ad aprire ben prima del 1 giugno. I titolari di studi di tatuaggi romani (ma non solo) sono preoccupati. Troppi quasi tre mesi di lockdown da coronavirus, difficile reggere i costi di un affitto o di un rimborso di un prestito, per chi si è indebitato per aprire l’attività. Dalla Garbatella, fino a Montesacro, i tatuatori romani, vivono giorni di ansia. “Speriamo bene”, “Non so se ce la farò” ripetono come un mantra alcuni studi famosi.

Non è un caso che oggi dalla Cna, la Confederazione degli artigiani di Roma, si sia levato un grido più che di allarme, di disperazione. “Le imprese di acconciatura, estetica e tatuaggio sono allo stremo per una chiusura obbligata e le loro condizioni finanziarie sono così gravi che per molti il rischio chiusura è vicinissimo. Siamo molto preoccupati per la disattenzione da parte del governo su un settore strategico per le nostre comunità. Tante storie e tanti sacrifici rischiano di essere cancellati per scelte che non dipendono da loro. Molte le famiglie che possono perdere il lavoro e non riuscire a trovare altri sbocchi professionali. Lo Stato si faccia carico delle attività che hanno dovuto chiudere”.

In Italia, ogni anno si spendono circa 300 milioni di euro per tatuarsi e una analisi condotta da Unioncamere-rivela come, in appena cinque anni, siamo passati da circa 1.300 realtà commerciali alle 4 mila registrate del 2017 (primatista in termini di tatuatori è la Lombardia – 902 imprese – ma si registra una netta rimonta del Mezzogiorno, con la Calabria che balza a 64 specialisti.

In termini urbani, stravince Roma che offre 306 imprese, seguita da Milano (272) e Torino (216), mentre Napoli (104) è la prima e unica realtà del Mezzogiorno nella top ten. E alla voce anagrafica, notiamo che la metà delle 4mila realtà presenti in Italia fa riferimento ad aziende under 35 mentre un’azienda su tre è guidata da una imprenditrice.

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