Governo/manovra: le certezze della Meloni non sostenute dai fatti

Tre ore di conferenza stampa non sono bastate a fornire risposte convincenti sulle prospettive del Paese che restano buie

Alcune indagini sul sistema delle imprese indicano che la grande protagonista del 2023 sarà l’incertezza. Oltre sei su 10 non sono in grado di formulare previsioni per i prossimi 12 mesi sull’andamento della propria azienda. Al contrario la premier Giorgia Meloni nella tradizionale conferenza stampa di fine anno ha snocciolato una serie di certezze sia sugli effetti e la struttura della manovra approvata sul filo di lana e sia sulle priorità del governo a trazione destra-centro.

Riforma delle istituzioni, presidenzialismo, giustizia e fisco rappresentano i dossier più urgenti secondo la premier che sul fronte economico è convinta che il price cap europeo al gas stopperà la speculazione e libererà risorse per finanziare alcuni interventi come il taglio del cuneo fiscale. Meloni non mostra incertezze nemmeno quando indica come dovrà essere riformata l’Europa a partire dalla revisione del patto di stabilità e crescita. Resta ancorata ai titoli senza offrire orientamenti puntuali quando parla del ruolo dello Stato in economia, a cominciare dai temi caldi di Tim e l’ex-Ilva.

Un quadro di prospettive economiche non incoraggianti

Le numerose domande in conferenza stampa (una cinquantina) e le lunghe risposte (quasi tre ore) non sono state sufficienti ad approfondire alcuni temi sui quali il Governo e la premier dovrebbero fornire risposte convincenti. Ad esempio spiegare i numeri forniti dall’esecutivo sul quadro programmatico. Nel 2023 la spesa pubblica è indicata in calo del 2,6% (+1,4% nel 2022), gli investimenti subiranno una drastica frenata con una crescita del 3% contro l’8,7% di quest’anno, i consumi finali avranno un trend negativo dello 0,2% rispetto al frizzante +3,2% del 2022.

Il quadro economico disegnato dal governo mostra tonalità decisamente plumbee e probabilmente più brillanti di quello che sarà la realtà. Sarà determinante la messa a terra delle risorse del Pnrr per compensare il taglio della spesa pubblica e la contrazione degli investimenti privati sui quali peserà negativamente non solo l’incertezza ma anche la stretta sul sistema degli ecobonus. Per il 2023 si tratta di 55 miliardi, oltre il doppio la capacità della spesa pubblica annuale per investimenti.

Vuoto su politiche welfare al posto reddito di cittadinanza

L’incertezza avvolge alcune delle principali misure contenute nella legge di bilancio nonostante sia iniziato il percorso in cui gli spazi di manovra diventano sempre più stretti ed è quindi ancor più necessario quantificare in modo accurato e prudente gli impegni di spesa e le risorse a copertura. Ad esempio c’è un grosso punto interrogativo sul gettito atteso dai condoni, ma c’è grande incertezza anche sul costo della flat tax incrementale per gli autonomi. Dubbi anche sul gettito atteso dalla tassazione sugli extra-profitti per le imprese energetiche.

Incertezza profonda anche su come verranno disegnate alcune politiche di welfare come il superamento del reddito di cittadinanza. Il governo ha dato un colpo di forbice quantificato in 700 milioni ma, paradossalmente, ha mantenuto in vita le principali criticità del reddito, come la definizione di offerta di lavoro congrua (espressione che non ha alcun fondamento in materia giuslavorista). Dopo averlo demonizzato per quattro anni forse era lecito attendersi un nuovo strumento alternativo piuttosto che modificare l’esistente in modo rabberciato.

A dispetto dei proclami di discontinuità, il governo Meloni conferma alcune peculiarità furbesche della politica economica. Ad esempio l’orizzonte di programmazione triennale del nostro ordinamento impedisce di valutare pienamente l’effetto sui conti pubblici di misure che rappresentano anticipi di imposta di cui vengono registrati i benefici immediati ma solo marginalmente le perdite future.

La manovra inoltre non stanzia risorse per il rinnovo dei contratti pubblici. Dimenticanza piuttosto macroscopica, considerando che nel triennio di programmazione della manovra ricade l’intero triennio contrattuale 2022-24 nonché il primo anno di quello successivo. Si tratta di importi rilevanti che influenzeranno i conti pubblici a breve.

Su fisco e previdenza solo deroghe e correttivi

C’è poi un altro elemento di continuità rispetto ai governi degli ultimi 20 anni. Ignorare i pilastri di funzioni fondamentali come il fisco e le pensioni. Il primo si basa sulla progressività dell’imposta, come sancito dalla Costituzione, il secondo sul sistema contributivo dopo le riforme Dini e Fornero. I governi invece sembrano divertirsi a introdurre correttivi incoerenti e deroghe pasticciate in un gioco finalizzato a smontare e ricomporre continuamente la fiscalità e la previdenza.

E’ stato un errore grossolano ad esempio innalzare il trattamento minimo in aggiunta alla perequazione ai prezzi. Errore ancor più grave non estendere il trattamento minimo ai lavoratori assunti dal 1996. In sostanza appare insensato potenziare un istituto (il trattamento minimo) destinato ad esaurimento quando tutte le pensioni saranno calcolate con il contributivo.

Non contento dell’errore, il governo promette di elevare il minimo pensionistico a mille euro durante la legislatura. Una evidente contraddizione rispetto alla volontà di sopprimere il reddito di cittadinanza perché incoraggia il lavoro nero.

Discorso analogo sul fisco. La tassazione dovrebbe prescindere dalla fonte del reddito. Invece a parità di imponibile autonomi, lavoratori dipendenti e pensionati hanno tassazioni diverse. La flat tax fino a 85mila euro accentua la stortura di un sistema sempre più lontano dal dettato costituzionale.

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