Niente vendita e dunque niente cassa in più. Peccato, perché al Campidoglio facevano comodo un po’ di soldi in più. Ma niente. Sto alla vendita a Parmalat della Centrale del Latte di Roma, già al centro di una querelle economica- giudiziaria senza precedenti per una vendita cominciata nel 1998 e mai conclusa.
La dismissione rientrava nel piano di cessioni di partecipate messo a punto dall’ex assessore Massimo Colomban. Un anno fa la sindaca di Roma, Virginia Raggi, presentò con l’allora assessore Colomban un piano che prevedeva una riduzione da 31 a 11 delle partecipate di Roma Capitale. Riduzione prevista dalla Legge Madia per varie società, fra cui quella lattiero casearia del Lazio.
Il Comune ufficialmente ne detiene il 6,7% nonostante ne reclami da tempo il 75% in mano a Parmalat, che a sua volta l’aveva acquistata dalla Cirio di Sergio Cragnotti. Come raccontato a più riprese da Radiocolonna.it, il gruppo di Collecchio ha più volte rivendicato la titolarità del pacchetto azionario del 75% che, in forza di pronunce giurisdizionali (Tar del Lazio nel 2007, Consiglio di Stato nel 2012 e Tribunale civile di Roma nel 2013) è stato riassegnato al Campidoglio.
Il quale, stando all’elenco delle partecipazioni ufficiale, detiene ad oggi una quota del 6,7%. Questo perchè Parmalat, oggi gruppo Lactalis dopo il crack del 2004, si è sempre rifiutata di restituire la quota alla giunta capitolina, presentando causa davanti alla Corte di appello.
Adesso però, nell’attesa del contenzioso, una proposta di legge targata Lega ha escluso dal perimetro della Legge Madia per la razionalizzazione delle partecipate, quelle che producono latte (il Carroccio è tradizionalmente vicino a quel mondo). Dunque, decade l’obbligo di cedere la Centrale del Latte, o almeno la sua quota.
Peccato perchè l’introito stimato era 28 milioni. Non proprio spiccioli.