L’acquario di Roma finisce per annegare?

Fondi bloccati dalle banche, crediti con le ditte coinvolte nella costruzione delle 30 vasche. L'opera finisce sul binario morti

Era il 2 luglio 2018 quando l’Acquario dell’Eur si mostrò al mondo e annunciò: inaugurazione entro l’anno. Intanto però la società concessionaria Mare Nostrum Romae aveva già presentato domanda di pre-concordato al tribunale.

Con il rischio fallimento dietro l’angolo, ora c’è in ballo una nuova procedura di salvataggio in extremis. In sintesi, il destino di Sea Life è in mano ai giudici. Un lungo passo indietro. Sono trascorsi dieci anni dalla prima pietra della faraonica infrastruttura costruita sotto il più famoso Laghetto di Roma. I costi – a carico dei privati su aree concesse da Eur Spa – sono lievitati da 80 a 120 milioni: i lavori da cronoprogramma dovevano terminare nel 2012. Debiti su debiti, ogni anno annunci trionfali di imminenti aperture e si arriva a oggi: l’acquario da settemila metri quadrati è praticamente finito, ma con quello sono finiti pure i soldi.

L’opera, scrive oggi il Corriere della Sera, era la ciliegina del Secondo Polo Turistico della Capitale, il maxi-progetto avviato all’epoca del sindaco Gianni Alemanno e promosso con tanto di decreto del Consiglio dei ministri: il piano comprendeva anche il contestato waterfront di Ostia e la Nuvola di Fuksas. Si tratta di una struttura partita con il prosciugamento di mezzo lago e la creazione di immani gallerie sotterranee: tra i continui ritardi, le criticità sono diventate soprattutto finanziarie.

Fondi bloccati dalle banche, crediti con le ditte coinvolte nella costruzione delle 30 vasche: la gestione delle oltre cinquemila specie di animali previste spetta alla Merlin, leader mondiale del settore. Alla fine, con le casse vuote, la Mare Nostrum dell’ingegner Domenico Ricciardi, ideatore di Sea Life, ha dovuto ricorrere a marzo 2018 alla formula del concordato preventivo, in gergo una pre-istruttoria che «congela» la situazione finanziaria di un’impresa.

Il tribunale di Roma, si legge nei documenti, ha mandato due commissari giudiziari a spulciare le carte dei bilanci della ditta, che doveva anche presentare un piano per la ristrutturazione del debito. La proposta però, a quanto pare, non è arrivata e il 23 ottobre i giudici stavano rigettando la procedura e inviando le carte in procura per l’istanza di fallimento. Colpo di scena. Con le udienze in corso, il 24 dicembre è stata depositata “domanda piena” per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale», spiega la nuova proposta gestita dallo studio legale Dla Piper. Secondo il team di avvocati di assistenza fallimentaristica, «con l’implementazione del piano di concordato, nel complesso, dovrebbero trovare nuova occupazione circa 400 persone». Tradotto: così si può trattare con i creditori e intanto i soldi servono a finire l’acquario.

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