Lavoro: Cgil, “4 romani su 10 vivono in povertà, con redditi da zero a 15mila euro annui”

Il dato emerge da un'analisi della Cgil Roma sulle  dichiarazioni al fisco registrate dal ministero dell'Economia tra il 2010 e il 2021. Inoltre nel Lazio una persona su quattro lavora in nero

Quattro romani su dieci vivono in povertà, con redditi da zero a 15mila euro l’anno. Nonostante sia stato recuperato il reddito perso durante la pandemia, resta ampio il divario tra chi percepisce redditi alti e quella di chi vive sulla soglia di povertà. Il dato emerge da un’analisi della Cgil Roma e Lazio sulle  dichiarazioni al fisco registrate dal ministero dell’Economia tra il 2010 e il 2021.

Secondo il resoconto del sindacato, a Roma il 28 per cento della persone vive con guadagni che vanno da zero a 10 mila euro l’anno, mentre l’11 per cento arriva a 15mila euro. Il reddito medio complessivo è di 27.816,03 euro, tuttavia i contribuenti che dichiarano redditi da pensione o da lavoro dipendente sono sotto la media. “Guardando la suddivisione per fasce di reddito e la distribuzione del reddito nel territorio c’è un aumento della polarizzazione delle disuguaglianze”, spiega in una nota il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola.

In povertà vive una fetta ampia di popolazione, il 39 per cento, ma il dato è stabile rispetto agli anni precedenti. Un 10 per cento ha redditi dai 55mila agli oltre 120mila euro l’anno. E se il guadagno complessivo dei romani, rispetto al periodo della pandemia, è più alto e arriva a 53,6 miliardi con lo stipendio medio in crescita, c’è una fascia ampia, pari al 52 per cento dei residenti, che vive con guadagni che vanno dai 15 mila ai 55 mila euro l’anno.

“Le aree con redditi più alti della Capitale sono i quartieri Trieste, Parioli, Monte Mario, Ottavia, Salario, Africano, Trionfale e Balduina. Al contrario la concentrazione di redditi più bassi sono le Torri, Borghesiana, Castelverde, Ponte di Nona, Massimina, Montespaccato – sottolinea Di Cola -. E guardando la suddivisione per fasce di reddito e la distribuzione del reddito nel territorio c’è un aumento della polarizzazione delle disuguaglianze: mentre c’è una parte importante della città che vive una forte condizione di disagio non vede migliorare la propria condizione, la parte più ricca diventa ancora più ricca”.

La forma di lavoro più diffusa è quella dipendente, pari al 40 per cento della popolazione dei contribuenti. Seguono i redditi provenienti dalla proprietà di immobili, 34 per cento, e dalle pensioni, 22 per cento. “Secondo i dati diffusi dal Mef sale a quota 53,6 miliardi di euro il reddito complessivo della capitale, 1 miliardo in più rispetto al 2019. La crescita è trainata dai redditi oltre i 120.000 euro, dichiarati da poco meno di 40 mila contribuenti, che dichiarano quasi 750 milioni in più rispetto al 2019”, aggiunge Di Cola.

“Sono 1,93 milioni i cittadini romani che nel 2022 hanno dichiarato i redditi prodotti nel 2021, un numero in diminuzione rispetto alla situazione pre covid, rispetto al 2019 il numero è calato di 15 mila contribuenti ma guardando ai dati si nota un trend negativo a partire dal 2016. Complice della riduzione anche le addizionali comunali che spingono le persone a spostarsi in comuni limitrofi, dove il costo della vita è anche inferiore – precisa il segretario della Cgil di Roma e Lazio -. I redditi da lavoro dipendente salgono dopo la contrazione della pandemia ma restano fermi ai livelli del 2012, la differenza è di 10 euro in più su base annua. La media attuale è di 26.441 euro. Rispetto a Milano i contribuenti i redditi da lavoro dipendente sono più bassi di 8.500 euro. Il gap si è allargato, nel 2011 era di 5.000 euro. Rimane stabile al 39 per cento il numero di contribuenti della Capitale che dichiara fino a 15.000 euro l’anno, un dato pressoché invariato dal 2010 a oggi”, conclude Di Cola.

Il sindaco ha anche preso in esame anche i dati Istat sul lavoro sommerso nel periodo 2023-2025, dai agli emerge che il lavoro sommerso nel Lazio riguarda 420mila persone, di queste una su quattro lavora in nero. La media regionale (15 per cento) del sommerso supera quella nazionale (12 per cento).

L’occupazione, che sfugge al controllo e genera un’evasione pari a 9,4 milioni l’anno, si nasconde principalmente dietro un formale rapporto di lavoro dipendente nel 72 per cento dei casi e dietro altre forme di collaborazione, partite Iva e autonomi, nel 28 per cento dei casi.

“Avere un’incidenza del lavoro sommerso più alta della media nazionale è un segnale decisamente negativo sulla qualità dell’occupazione nel Lazio”, spiega in una nota il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola. “Sapere che nella maggioranza dei casi esiste un formale rapporto di lavoro, a termine e part time, ma che non viene rispettato dimostra che una leva importante per superare il lavoro sommerso sia il contrasto alla precarietà favorendo la creazione di occupazione stabile, questa è anche una delle ragioni della nostra mobilitazione contro un decreto del Governo Meloni che rende il lavoro più precario”, aggiunge.

I settori più colpiti sono: lavoro domestico (52 per cento), agricoltura (24 per cento), cultura e sport (23 per cento). “Serve un importante potenziamento sulla prevenzione e sui controlli, a partire dagli organici, perché in diversi settori il lavoro sommerso è legato a forme più gravi di sfruttamento come il caporalato e la tratta della persone – sottolinea il segretario della Cgil di Roma e Lazio -. Anche il sistema delle imprese e le istituzioni devono fare la loro parte. Le lavoratrici e i lavoratori vengono danneggiati in primis dal lavoro sommerso ma a essere colpite sono anche le imprese sane, che devono fare i conti con una forma di concorrenza sleale, con il risultato di avere un tessuto economico nella Capitale e nel Lazio più fragile e povero”.

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