E’ cominciata la guerra delle NOCCIOLE tra una parte dei produttori calabresi e il colosso dolciario FERRERO.
“La Ferrero in Calabria? La nostra produzione di nocciole è incompatibile con una logica globalizzata” afferma Giuseppe Rotiroti, presidente del Consorzio di Valorizzazione e Tutela della Nocciola di Calabria di Torre di Ruggiero.
Quindi un secco NO dei calabresi al progetto “Nocciola Italia” lanciato dall’industria piemontese.
E’ stata sicuramente una scelta difficile e forse destabilizzante per il polo della “Tonda Calabrese”.
La Ferrero, da quello che si sussurra, avrebbe offerto un contratto della durata di 3 anni per il ritiro garantito della produzione ma ad un prezzo inferiore a quello che i “compratori” classici propongono.
Chi ha rifiutato l’accordo l’ha fatto per vari motivi: 1°) questo progetto non avrebbe portato ad un aumento dell’occupazione, 2°) la speranza che la coltura intensiva e quanto ne deriva possa richiamare più turisti e 3°) il progetto di incrementare la filiera di lavorazione per arrivare ad un prodotto finito autoctono.
Questa presa di posizione dei produttori calabresi potrebbe avere ripercussioni nazionali dato che la coricoltura è una grande ricchezza per tutta l’Italia. La nostra terra, da nord a sud, sembra votata con successo alla coltivazione della nocciola, tanto che L’Italia rappresenta oggi il secondo produttore a livello mondiale con una quota di mercato di circa il 12%.
Il “sogno” di Ferrero è di aumentare del 30% la produzione italiana. Per ora sono 70 mila gli ettari dedicati alla coltura di questo prodotto, con una produzione media di nocciola in guscio di circa 110mila tonnellate/anno (dato medio/anno ultimi 10 anni).
Questo improvviso ed impellente interesse per il nostro prodotto nasce dal fatto che Ferrero ha sempre maggior bisogno di nocciole (e non solo per la Nutella) e che l’affidarsi alle produzioni estere (come ha fatto per troppi anni) è diventato rischioso per l’assoluta mancanza di filiera certificata e quindi di sicurezza.
Certo “Nocciola Italia” è un grande e complesso progetto che dovrà avere il sostegno delle associazioni (Cia e Coldiretti in primis) per ottenere uno sviluppo territoriale e culturale di tutti gli agricoltori.
Il viterbese, ad esempio, è un susseguirsi di noccioleti, grandi e piccoli. Ma manca la capacità e la volontà di fare rete che, alla fine, provoca un indebolimento della forza “contrattuale”.
Ci sono ettari ed ettari abbandonati anche perchè i costi e gli adempimenti fiscali per il contadino sono in continuo aumento come gli obblighi per le modifiche al parco macchine necessario nei noccioleti.
L’abbiamo già detto tempo fa ma, l’agonia dei piccoli appezzamenti e dei piccoli borghi è sotto gli occhi di tutti. Si parla sempre più frequentemente di riqualificazione delle “aree interne“, ma al momento son parole e non aiuti.
Chi prende la tratta Roma Viterbo, lo sa bene e, giorno dopo giorno, attraversa tanto squallore, tanti “naufragi imprenditoriali” e tanti “borghi” in via di spopolamento.
Ci viene, allora, da pensare che la proposta, per quanto “speculatoria”, della Ferrero potrebbe servire da impulso stimolante alla “ricostruzione del tessuto umano e agricolo” di tanta parte d’Italia.
Vede bene l’ex ministro Fabrizio Barca quando si batte per le politiche territoriali ma, i suoi primi interlocutori DEVONO per forza diventare le associazioni di categoria (Cia e Coldiretti), spingendole ad essere non semplici sindacati ma operatori sul “campo”.
Vorrei invitare Barca e il ministro Giuseppe Provenzano a vedere dal “vivo” la lenta, inarrestabile agonia della piccola realtà agricola laziale.