Smart working, l’ufficio va al bar

Lavorare "da casa" senza chiudersi in casa. Nuove soluzioni lavorative per un mondo che ci cambia sotto gli occhi

Non si potrebbe scrivere una pagina di storia, né politica né letteraria né artistica dell’Ottocento, senza citare il nome di un Caffè. (Piero Bargellini).
Noi aggiungiamo anche del ‘900 e del 2000.

Potevano essere bar/ristoranti letterari dove si incontravano scrittori, letterati, giornalisti e artisti in genere. Intorno a quei tavoli si discuteva molto, si scriveva, si disegnava o si focalizzava qualche nuova impresa culturale che, da li a poco sarebbe nata.

L’abitudine di lavorare in un luogo pubblico, dove ti passa davanti il mondo e dove il silenzio del proprio spazio privato (tanto caro a Leopardi, Alfieri e tanti altri) è volutamente scartato, è piena di esempi che hanno generato, se vogliamo, un primordio di co-working. Altri tempi, altre necessità, altri rapporti tra gestori del locale e artisti.
Ma la storia, come si sa ha l’abitudine a ripetersi e di adattarsi alla società contemporanea.

Oggi gli intellettuali/artisti colti e veri sono stati assorbiti dalla massificazione, dal decadimento della cultura e il fermento creativo degli anni passati (nel bene e nel male) si è in gran parte esaurito.

Pensate al Caffè Gambrinus che ospitò D’annunzio, Sarte, Hemingway, Wilde, Croce e Totò in efficace collaborazione o in solitaria creatività. Uguale fermento fece il giro del mondo con esempi che dovrebbero essere quasi “museali”.

Dai Bistrot ai caffè lussuosi ogni tavolo ha una storia illustre da raccontare. A Roma il CAFFE’ GRECO (1760), ospitò Lord Byron, Ibsen, Perc Shelley, Hans Christian Andersen, John Keats, Goethe e Schopenhauer e vari artisti contemporanei.

L’idea del bar/caffè/ristorante come luogo di lavoro viene ora rilanciata da Luciano Sbraga, presidente di Fipe Confcommercio. Dato che lo “smart working” sta dilagando Sbraga auspica che si possa essere operativi in qualunque momento e senza eccessivi obblighi. Un modo per “allargare la casa e nello stesso tempo di uscire dall’isolamento del lockdown”.

Ma gli esercenti insorgono e si dichiarano contrari alla proposta. Hanno bisogno di turn-over anche per rientrare, in parte, dalle grosse perdite di questi mesi (-70% dei guadagni)! Difficile consentire ad un cliente di occupare un tavolino per tante ore a fronte di una consumazione minima! e forse, è anche, un’abitudine lontana dalla nostra cultura!

Siamo d’accordo con gli esercenti sulla necessità vitale di far cassa, molto meno sulla teoria della nostra riluttanza al co-working.

Esistono, da tempo, uffici affittati e condivisi a tempo, ed è sempre più facile trovare persone che lavorano ovunque ne abbiano la possibilità.

Facciamo un esempio su Milano. Non è sempre facile avere appartamenti generosi in metri quadrati, che prevedano la famosa “stanza tutta per sè” dove lavorare mentre la vita in casa segue il suo ritmo.

La risposta, in questo periodo, sono, sempre di più le postazioni di co-working. La città offre diverse soluzioni dai bar/libreria come Open in zona Porta Romana (dov’è possibile anche pranzare e con un abbonamento che da diritti a sconti sia sul cibo che sui libri) agli spazi super-attrezzati che prevedono la zona nursery o il baby parking, dove chi ha figli se li può portare e lasciare in mani sicure. Naturalmente queste strutture immensamente comode richiedono una cifra di abbonamento, più che accettabile e che aiuta il lavoratore a risolvere un mare di problemi legati a questo nuovo modo di operare.

Non ci resta che augurarci che su questi modelli possano nascere ovunque luoghi simili senza imporre cambiamenti alla struttura commerciale esistente

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