Vaticano, tutte le volte che le finanze hanno traballato

Da Sisto V a Giovanni Paolo II molti pontificati hanno conosciuto momenti di magra, con periodi al verde

Papa Francesco
Papa Francesco

Ad essere onesti non è la prima volta che se ne parla.

Le finanze del Vaticano sono in sofferenza, complice il crollo ormai strutturale dell’Obolo di San Pietro (il denaro donato dai credenti cattolici di tutto il mondo, soprattutto nella giornata di San Pietro e Paolo che cade il 29 giugno), sceso a 68 milioni riconducibile anche all’emergenza Covid-19. E pensare che una delle missioni del pontificato di Francesco era proprio la rivoluzione finanziaria nella Santa Sede: basta sprechi, meno lussi e più sostenibilità e soprattutto bilanci trasparenti e ufficiali. Mai arrivati, finora, al netto di quelli dello Ior, la banca vaticana. Invece da Oltretevere è arrivato un altro brutto segnale.

Le ultime informazioni circa lo stato della casse vaticane arrivano direttamente. Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l’Economia del Vaticano intervistato da Vatican News. “Abbiamo fatto alcune proiezioni, alcune stime. Le più ottimistiche calcolano una diminuzione delle entrate intorno al 25%. Le più pessimistiche intorno al 45%”. Tuttavia “non siamo in grado di dire oggi se ci sarà una diminuzione delle donazioni all’Obolo, o una diminuzione dei contributi che arrivano dalle Diocesi”. In ogni caso la Sante Sede non teme il rischio default.

I conti “ci dicono che tra il 2016 e il 2020 sia le entrate che le uscite sono state costanti. Le entrate intorno ai 270 milioni. Le spese in media intorno a 320 milioni, a seconda dell’anno”. La Santa Sede punta ora a centralizzare gli investimenti finanziari, sinora sparpagliati tra i diversi dicasteri vaticani.  “Dovremo centralizzare gli investimenti finanziari, migliorare la gestione del personale, migliorare la gestione degli appalti”, spiega il gesuita spagnolo. “Sta per essere approvato un codice per gli appalti che porterà sicuramente a dei risparmi. Stiamo lavorando in costante collegamento con tutti i dicasteri coniugando la centralizzazione con la sussidiarietà; le autonomie con i controlli; la professionalità con la vocazione”, ha spiegato, Guerrero Alves.

Ora, non è la prima volta che questo accade. Guardando indietro, nella storia, nel 1991, c’era Papa Giovanni Paolo II, e le casse vaticane finirono a secco, tanto che l’allora presidente dell’ente di amministrazione della sede apostolica e capo della vigilanza sullo Ior, Castillo Lara, mise in discussione il pagamento degli stipendi.

Non è finita qui, andiamo secoli indietro ma la storia non cambia. Papa Sisto V, pontefice dal 1585 al 1590, trovò le casse del Vaticano vuote. Al punto da imporre subito nuovi oboli e gabelle, sviluppando nuovi monti di pegno e vendendo alcuni beni immobili di proprietà del Vaticano. In più fece promettere ai cardinali che dopo la sua morte non abolissero tali disposizioni.

Senza considerare gli innumerevoli scandali che hanno coinvolto lo Ior e gli anni coi conti in rosso della banca (nel 2016 si parlò di un buco da 300 milioni).

Insomma, la storia insegna che, per il Vaticano non sono sempre state rose e fiori, almeno dal punto di vista delle finanze.

Francesco, se così si può dire, è in buona compagnia.

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