Accise: su carburanti e bollette un Governo senza strategia energetica

La riduzione dei sussidi sta pesando in modo quasi esclusivo sulle piccole imprese. Anche il sistema di incentivazione dovrebbe essere ricalibrato

Le goffe spiegazioni della premier Giorgia Meloni sul tema delle accise sui carburanti sono la classica toppa che risulta peggiore del buco. Sul piano comunicativo ha offerto argomenti inconsistenti, ma soprattutto ha sbagliato il bersaglio in modo grossolano puntando l’indice contro i gestori degli impianti,  che hanno risposto proclamando due giorni di sciopero delle pompe, sia pure congelato dopo l’incontro a Palazzo Chigi e in attesa di conoscere il testo del decreto una volta emanato.

Storicamente il mercato italiano dei carburanti mostra una certa allergia alla concorrenza anche se negli ultimi anni la piena liberalizzazione ha prodotto un avvicinamento dei prezzi a quelli di riferimento in Europa, in particolare su quelli alla produzione. E’ l’architettura fiscale (le accise sono un imposta fissa e l’Iva è in percentuale) che produce vistose storture. Sul piano tecnico se il Governo avesse mantenuto il taglio di 25 centesimi delle accise intervenendo sull’Iva il gettito sarebbe stato invariato,  ma i prezzi alla pompa più bassi.

Ma sicuramente non è con un decreto ribattezzato trasparenza che si produce un effetto virtuoso sui prezzi dei carburanti. Tra le motivazioni indicate dalla premier per giustificare la fine dello sconto una è veramente bizzarra. Il taglio delle accise è un beneficio per tutti, per i poveri e per i ricchi, anzi chi guida una Ferrari è più premiato del possessore di una utilitaria. Dunque il governo ha deciso di impiegare quelle risorse (circa 10 miliardi su base annua) per tagliare le bollette di luce e gas.

La riduzione delle risorse dovrebbe prevedere una selettività delle misure

a verità è un’altra. La caratteristica dei sussidi contro il caro-energia e il caro-carburanti è l’universalità della misura. L’anno scorso il governo Draghi ha erogato circa 60 miliardi per alleggerire l’emergenza dei costi energetici, risorse che sono andate a tutti gli italiani, senza alcuna distinzione di reddito. E i maggiori beneficiari sono coloro con consumi elevati.

Il problema dei sussidi e sostegni emergenziali è che sono a tempo. E’ evidente che l’Italia non può spendere altri 60 miliardi quest’anno, ma la riduzione di risorse dovrebbe prevedere una selettività delle misure, cercando il più possibile di dirottarle verso le fasce più deboli.

Il Governo ha già avviato la riduzione dei sostegni, Dal primo gennaio non c’è più lo sconto sui carburanti, e sulle bollette è stato ridimensionato il taglio agli oneri generali di sistema. Non solo, per le attività produttive sono escluse dai sussidi le imprese con potenza installata inferiore ai 16,5 KWh.

L’exit strategy dai sussidi energetici sta procedendo in modo piuttosto confuso, ma soprattutto iniquo. Qualche esempio per rendere evidente la contraddizione nell’azione di governo. Il taglio delle accise è l’unico sussidio per una società di trasporto merci. Cancellando lo sconto il pieno di un Tir costa 10.500 euro in più in anno e dovrà scaricarlo sui prezzi praticati. Ma ci sono anche attività che non possono scaricare gli aumenti. E’ il caso delle imprese che offrono servizi di trasporto pubblico locale e dei tassisti che operano con tariffe amministrate. Al tempo stesso la villa di Arcore di Silvio Berlusconi, e le altre faraoniche residenze, continuano a beneficiare dei sussidi in bolletta per luce e gas al pari delle 29 milioni di famiglie italiane. Sul lato imprese, il governo Meloni ha tolto i sussidi alle micro attività e in continuità con i precedenti provvedimenti continua a premiare le cosiddette imprese energivore, riservando loro quote di gas ed energia elettrica a prezzi contenuti. La questione è che davanti all’emergenza energetica dovrebbe essere rivisto il concetto di energivora, privilegiando il riferimento di imprese ad alta spesa energetica. Una acciaieria consuma moltissima energia, ma pesa per circa il 10% sui costi totali. Al contrario una tinto-lavanderia (a prescindere dalle dimensioni) sopporta una spesa energetica pari al 50-55% dei costi totali.

Sembra prevalere una strategia di piccolo cabotaggio

La riduzione dei sussidi quindi sta pesando in modo quasi esclusivo sul sistema delle piccole imprese, trascurando il fondamentale contributo sulla domanda di consumi. L’anno scorso nonostante il clima favorevole, i consumi energetici totali in Italia sono scesi soltanto dello 0,8%, grazie all’efficientamento energetico del tessuto produttivo che ha tagliato i consumi di quasi l’8%. Significa che le famiglie italiane nel 2022 hanno consumato più gas e energia elettrica dell’anno precedente.

Una fotografia che dovrebbe orientare alcune scelte del governo in materia energetica. Le risorse per i sussidi dovrebbero essere concentrate su famiglie a basso reddito e su quelle imprese che non hanno margini di efficientamento ma che sono ad alta spesa energetica.

Anche il sistema di incentivazione dovrebbe essere ricalibrato. Ad esempio estendere anche alle attività produttive le facilitazioni per impianti da fonti rinnovabili oggi previste solo per le famiglie. E invece il governo Meloni continua a puntare sui grandi parchi eolici e fotovoltaici con incentivi complicati e favorendo il consumo di territorio.

Ma dal Governo silenzio assoluto, sembra prevalere una strategia di piccolo cabotaggio e di interventi parziali e scollegati tra loro. Giorgia Meloni nei panni di premier conclude ogni intervento indicando la necessità di fare i conti con la realtà. Si potrebbe dire “benvenuta nel mondo reale”.

 

 

 

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