Alluvione Emilia Romagna: peggio del terremoto, la ripartenza sarà lunga, costosa e difficile

Lo stato di emergenza fino ad agosto. Spinoso il dossier per la scelta del Commissario.

Alla riunione del consiglio dei ministri che ha stanziato circa 2 miliardi per l’alluvione in Romagna il dossier più spinoso non era il reperimento dei fondi ma la nomina del commissario. Il niet di Salvini nei confronti del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini rientra nella tattica del leader leghista azzoppato di complicare la vita a Giorgia Meloni cercando di recuperare consenso. Ma il fronte che non vuole affidare a Bonaccini la gestione della ricostruzione è ben più ampio e comprende anche esponenti di primo piano di Fratelli d’Italia.

In nome del principio chi “vince prende tutto” la maggioranza vuole occupare tutto e dopo la trasformazione della Rai in TeleMeloni, il commissariamento di Inps e Inail, il prossimo passo è la gestione del post alluvione. Bocciare Bonaccini tuttavia non è semplice e Meloni e la sua maggioranza si sono presi un po’ di tempo. L’anno prossimo ci sono le elezioni per il parlamento europeo e Bonaccini potrebbe candidarsi mandando al voto anche l’Emilia-Romagna. Prospettiva che apre una competizione interna alla coalizione di destra-centro per la scelta del candidato.

Lo schema per la gestione delle calamità dunque potrebbe saltare, l’estensione dello stato di emergenza a zone delle Marche e della Toscana è un chiaro segnale che Palazzo Chigi intende procedere a piazzare un altro fedelissimo per la ricostruzione. Nella stessa direzione la decisione di proclamare lo stato di emergenza fino ad agosto.

Coinvolte 100mila imprese, penuria di veicoli

Governo e maggioranza non sembrano curarsi dei possibili conflitti istituzionali con un commissario diverso dal governatore della regione. A pagarne il prezzo sarebbero i territori che stanno vivendo un autentico dramma. Perché l’alluvione che ha travolto, soprattutto, le province di Ravenna e Forlì-Cesena è peggio del terremoto di 11 anni fa in Emilia che provocò danni per 12 miliardi.

Una stima dei danni è ancora prematura ma il territorio coinvolto conta circa 100mila imprese che hanno subito danni rispetto alle 66mila del terremoto, senza contare gli ingenti danni ai campi e agli allevamenti. Ravenna in particolare presenta una densità di imprese ben superiore alla media regionale e nazionale (94 ogni mille abitanti rispetto a 87 dell’Emilia-Romagna e 84 dell’Italia).

Le risorse stanziate dal governo servono per l’emergenza, sostenere i redditi con il blocco delle produzioni. La catena di solidarietà è impressionante, le capacità organizzative di quei territori non sono in discussione, ma la ripartenza si annuncia lunga e complicata e serviranno una pubblica amministrazione flessibile e ragionevole per evitare che la burocrazia aggiunga danni ulteriori e scelte chiare del governo in termini di strumenti e risorse.

A rendere molto difficile la ripartenza ci sono alcuni elementi oggettivi. Ad esempio c’è grande penuria di veicoli (tra l’altro i danni ai veicoli non vengono risarciti in caso di calamità naturali), c’è carenza di imprese dell’edilizia e impiantistiche impegnate con i lavori dei vari bonus casa e quelle poche disponibili dovrebbero essere esonerate dalle penali per consegna lavori in ritardo. Oltre a ristori e cig straordinaria, andrebbe prevista una proroga dei termini di consegna per i beni strumentali che beneficiano del credito d’imposta Industria 4.0.

La prevenzione non riesce ad affermarsi

Il fermo produttivo non sarà breve e le imprese saranno chiamate ad affrontare un’emergenza sul fronte della liquidità che richiede interventi rapidi ed efficienti. E con i tassi in crescita l’operazione sarà molto costosa. Serve inoltre una detassazione totale dei sussidi occasionali, erogazioni liberali e altri benefici concessi dalle imprese ai propri dipendenti.

Nelle zone alluvionate inoltre sono insediate migliaia di piccole imprese manifatturiere che producono beni strumentali di alta precisione. Sostituire due torni può richiedere fino a 10 mesi di attesa e per un tessuto produttivo fortemente orientato all’export significherebbe perdere mercati.

C’è poi il capitolo della prevenzione contro i disastri naturali. Un ambito che spetta alle regioni le quali possono finanziare gli interventi con i fondi europei Fesr (Fondo per lo sviluppo regionale). Nonostante negli ultimi anni abbiamo visto la frana di Ischia, le inondazioni delle Marche e le alluvioni in Sicilia, l’Italia destina soltanto il 3,2% del Fesr alla prevenzione contro il 7% della Spagna o il 9,5% della Grecia.

Il confronto regionale ancora una volta mostra le diverse sensibilità. L’Emilia-Romagna è tra le più virtuose insieme a Veneto, Friuli e provincia autonoma di Bolzano. Spicca anche la Campania che nella programmazione 2021-2027 ha raddoppiato le risorse per prevenzione, pari al 16% dei fondi Fesr. Liguria, Lazio, Abruzzo e Sardegna sotto la media nazionale. Stupisce proprio il Lazio che nella precedente programmazione aveva destinato alla prevenzione dei disastri naturali il 21,4% delle risorse (primato italiano) del fondo Fesr mentre per il ciclo 2021-2027 ha tagliato a meno del 3%.

Gli eventi meteo estremi ormai sono la regola ma la cultura della prevenzione non riesce ad affermarsi. La politica è incapace di programmare e l’opinione pubblica sembra ormai rassegnata alle conseguenze tragiche dei cambiamenti climatici.

 

 

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