Per la premier in pectore Giorgia Meloni l’emergenza energetica sarà il primo e impegnativo test politico. Invocando una risposta europea al caro-bollette traccia un orientamento che contrasta apertamente con il principio dell’Europa che piace alla Meloni, dove la logica del nazionalismo e dell’interesse del singolo Stato è prioritaria a quella dell’interesse generale del continente.
La Commissione europea ha preso l’iniziativa per limitare l’impatto del caro-bollette su famiglie e imprese. La presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che è il momento di introdurre un tetto al prezzo del gas per l’energia elettrica e subito dopo i commissari Gentiloni e Breton hanno proposto un fondo alimentato da risorse del bilancio europeo. Non sarà semplice superare le resistenze tedesche, olandesi e austriache.
Le istituzioni europee troppo spesso accusate di miopia e immobilismo stanno cercando di replicare lo schema adottato per affrontare la pandemia da Covid che si può sintetizzare in tre programmi: acquisti centralizzati dei vaccini, Next Generation EU e Sure per finanziare la cassa integrazione.
Al termine del vertice informale Ue di Praga, il Premier uscente, Mario Draghi ha dichiarato che qualcosa si sta muovendo. La Commissione si accingerebbe a presentare al Consiglio Europeo del 19 ottobre una proposta basata su tre obiettivi: 1) far diminuire il costo dell’energia, 2) introdurre un elemento di solidarietà nel meccanismo per far calare i prezzi, 3) avviare un inizio di riforma del mercato dell’elettricità.
Ogni Paese ha un diverso profilo energetico
Tuttavia paradossalmente affrontare la crisi energetica con politiche condivise è più complicato della pandemia che ha rappresentato un tipo di crisi nuova, senza riferimenti storici e soprattutto con tutti i paesi nelle stesse condizioni. Sull’energia è completamente diverso, ogni paese ha un determinato profilo energetico, nonché profonde differenze nella composizione del mix delle fonti, tant’è che gli effetti non sono uniformi. In paesi come la Svizzera l’inflazione è al 3,5%, in Francia al 5,6% mentre in Estonia (che ha l’euro) è schizzata al 24,5%.
Da mesi si discute sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas accusando la solita speculazione internazionale come il male assoluto. E in particolare puntando l’indice contro gli olandesi che ospitano il mercato del gas più importante in Europa, l’ormai famoso TTF. In realtà la componente speculativa è assai modesta. Al TTF si trattano quantità limitate di gas e soprattutto è un mercato fisico, vale a dire che le quantità acquistate vengono effettivamente ritirate. In cifre la quantità di gas trattata giornalmente al TTF è circa 3 miliardi di euro, valore che impallidisce davanti ai 700 miliardi che ogni giorno transitano sull’MTS della Borsa di Milano per scambiare titoli di Stato.
L’introduzione del Price cap presenta una serie di incognite
La domanda da porsi semmai è perché un mercato di piccole dimensioni sia diventato il riferimento europeo per il prezzo del gas. E’ come se alcuni banchi di frutta e verdura di un mercato rionale romano diventassero l’indice di riferimento europeo per il prezzo delle mele e delle pere. Gli stessi contratti di fornitura di gas a lungo termine fanno riferimento alle quotazioni del TTF che nel 2021 in media era di 26 euro a MW/h mentre quest’anno il prezzo medio è salito a 119 euro.
L’introduzione del price cap tuttavia presenta una serie di incognite. La principale è che un tetto al prezzo riduca ulteriormente le forniture. Per essere efficace dovrebbe prevedere un centro di acquisti europeo, ipotesi assai complicata da realizzare in tempi rapidi. L’alternativa è che il tetto del prezzo riguardi soltanto i clienti finali come in Spagna e Portogallo dove i governi finanziano la differenza. Uno schema di fatto simile ai sussidi che eroga da oltre un anno il governo italiano (quasi 50 miliardi di euro).
E poi come fissare il tetto? La proposta italiana prevede ad esempio una forchetta di prezzo definita utilizzando un indice elaborato sulla base dei principali mercati mondiali del gas, ipotesi anch’essa non priva di incognite e rischi di ulteriori distorsioni. E inoltre applicarlo a tutto il gas acquistato in Europa oppure solo a quello russo? Altra questione di non facile soluzione economica e soprattutto politica.
Il problema è la carenza di gas e l’introduzione di misure per evitare la formazione degli extraprofitti
La semplice verità è che il mercato del gas non è vittima di un malfunzionamento e tantomeno degli appetiti di raider e speculatori. Il problema è che c’è una carenza di gas e davanti a una offerta modesta inevitabilmente i prezzi salgono. Le istituzioni europee ed i singoli Stati, al di là della retorica, devono decidere le priorità, se al primo posto c’è assicurare il flusso di forniture evitando razionamenti coatti oppure il livello dei prezzi. Pagare caro il gas è garanzia di averlo in quantità sufficienti, il tetto finanziato dai bilanci pubblici ha l’ulteriore svantaggio di non modificare i consumi.
C’è un’altra questione che si sta dibattendo con una connotazione populista ed è la tassazione degli extra profitti da parte dei produttori di energia elettrica. L’introduzione della tassa in molti paesi (Italia compresa) ha comportato entrate meno che modeste. Stranamente non si segnalano interventi da parte delle autorità di regolazione, europee e nazionali. Potrebbero introdurre misure per evitare la formazione degli extra-profitti evitando così le difficoltà tecniche e giuridiche di tassarli dopo. In fondo è il mandato per cui sono state create: evitare ai monopolisti di incassare utili impropri. La rigidità delle regole è il vero male dell’Europa.