Forse sarà un effetto generato dal clima della pandemia ma ogni tensione politica ed economica da qualche tempo si trasforma in emergenza. E’ così per l’elezione del presidente della repubblica e per le sorti del governo, lo è ancor di più la questione del caro-bollette.
I costi energetici sono lievitati, in termini assoluti il prezzo di un MW/h in 10 mesi è salito da 50 a 290 euro. Il principale effetto, insieme alle difficoltà di reperimento di materie prime e semilavorati, è il ritorno di tensioni inflazionistiche che non si vedevano da quasi 20 anni. Eppure sulle cause e gli effetti del caro-energia si è innescato un clima di allarme che rischia di condurre a risposte parziali ed errate. La prima è che il balzo dei prezzi sia determinato dal processo di decarbonizzazione e dalla transizione energetica. Nel 2014 abbiamo vissuto una situazione simile con prezzi del gas e dell’energia in forte rialzo e anche allora si puntava il dito contro le fonti rinnovabili.
Si stanno esaurendo le fonti fossili a basso costo
Ma la transizione non è uno shock esterno. I prezzi dell’energia sono destinati a salire nel medio-lungo termine in quanto si stanno esaurendo le fonti fossili a basso costo. Estrarre le materie prime energetiche è sempre più costoso e impattante, tant’è che oltre il 60% delle emissioni globali sono provocate dalle attività di estrazione e lavorazione delle materie prime.
Quanto si osserva da qualche mese piuttosto ha mostrato che le fonti rinnovabili non sono programmabili. L’impennata del gas è stata determinata dalla eccezionale bonaccia nel Nord Europa che ha fermato la produzione eolica dirottando molta domanda sul gas che ha trovato una offerta impreparata. I bassi prezzi degli ultimi 5 anni hanno frenato l’attività di estrazione e soprattutto quella di ricerca e sviluppo.
Ma questa dinamica non spiega completamente il balzo delle bollette, negli ultimi 15 anni abbiamo vissuto con il petrolio a ridosso dei 200 dollari al barile (oggi è sotto i 90) e con prezzi del gas fino a tre volte superiori a quelli attuali senza mettere a rischio il sistema produttivo ed i bilanci familiari.
Enormi disfunzioni del mercato elettrico
Ciò che emerge sono le enormi disfunzioni del mercato elettrico, in particolare in Italia. Il balzo del 400% del prezzo dell’energia non ha relazione con il trend dei costi di generazione che mostrano un aumento del 130% per gli impianti termoelettrici (gas e petrolio), marginale crescita per le rinnovabili.
Il problema dell’Italia è che per alimentare le centrali termoelettriche (che coprono quasi il 50% del fabbisogno) si usa prevalentemente gas acquistato sul mercato libero (che risente delle quotazioni delle borse di Londra e Amsterdam) mentre è limitato l’uso di gas acquistato con contratti a lungo termine e prezzo fisso. La conseguenza è che gli acquisti sul mercato libero influenzano a loro volta il meccanismo di formazione dei prezzi dell’elettricità che, altra grave disfunzione, premia l’offerta marginale più costosa. Cosa può fare il Governo? Praticamente nulla.
Intervento governo poteva essere solo sulle famiglie a basso reddito
Discorso diverso sugli effetti del caro-energia. Il Governo ha stanziato già quasi 10 miliardi per limitare gli incrementi e programma nuovi interventi davanti agli allarmi. Per le famiglie l’impatto è notevole. La spesa per l’energia elettrica pesa per il 5% del reddito medio e considerando riscaldamento e carburante la spesa energetica assorbe il 20% del bilancio familiare. E tuttavia concedere sussidi a 19 milioni di famiglie forse è eccessivo, l’intervento poteva essere concentrate su quella a basso reddito.
Sulle imprese, invece, qualche analisi dovrebbe essere realizzata con maggiore cura. La bolletta elettrica per il 70% delle aziende incide meno di un punto percentuale del fatturato e soltanto per il 3,5% delle imprese l’incidenza è superiore al 3%. E’ vero che l’aumento dei costi energetici si riflette anche su altre voci di spesa ma i progressi rilevanti sull’intensità energetica (l’energia consumata per unità di prodotto è scesa del 25% in 12 anni) non sembrano prefigurare uno scenario di blocchi produttivi a causa di bollette insostenibili. Non è un caso che nella griglia degli indicatori per la competitività della Banca Mondiale la voce costo energetico non figura.
Una piccola impresa sopporta un costo unitario superiore di 4 volte a quello di una grande
Da circa tre anni le imprese cosiddette energivore godono di un consistente taglio alle tariffe con il risultato che una piccola impresa sopporta un costo unitario superiore di 4 volte a quello di una grande. La questione è che i sussidi sono stati elargiti in cambio di nulla. Ad esempio potevano essere condizionati a processi di efficientamento energetico, mentre è prevalso il timore di vedere una fuga dall’Italia dopo la vicenda dell’Alcoa in Sardegna. La bolletta elettrica andrebbe ristrutturata per eliminare discriminazioni ma soprattutto per renderla coerente con il percorso di efficientamento energetico generale. Invece si assiste al paradosso che chi consuma più energia paga meno e chi investe per migliorare l’efficienza energetica viene penalizzato.
Certamente esistono filiere più sensibili alle tensioni dei prezzi energetici che vanno sostenute, ben diverso immaginare che il contribuente sia chiamato a pagare le distorsioni del mercato libero.