Caro energia/nucleare: le polemiche nascondono l’assenza di una strategia e tante contraddizioni

Ridurre le emissioni è un imperativo, ma lo è ancor di più l’utilizzo efficiente dell’energia e delle materie prime

Il balzo del costo dell’energia elettrica ha riacceso i fari sul nucleare con la proposta della Commissione europea di inserirlo tra le fonti green insieme al gas. La bozza messa a punto da Bruxelles prevede paletti e condizioni, ma riaprire al nucleare ha provocato la dura presa di posizione di molti paesi e frizioni interne come in Germania, dove il cancelliere Scholz è possibilista, scatenando le ire dei verdi che fanno parte della maggioranza.

L’apertura al nucleare evidenzia tuttavia che i paesi europei in fatto di strategia energetica scontano criticità e contraddizioni. Intanto si tratta di investimenti a lungo termine (e con costi elevati senza considerare gli oneri per il trattamento delle scorie) che non possono fornire risposte al caro energia che è l’effetto di equilibri geopolitici in cui l’Europa è marginale e di scelte improvvide come il sostanziale stop alle attività di estrazione mineraria in Europa. L’impennata delle bollette mostra che l’Europa pagherà a caro prezzo la non autosufficienza energetica. Non solo, ma rischia di mettere in crisi il processo di decarbonizzazione sul quale iniziano a manifestarsi resistenze e obiezioni.

Concentrare le politiche sul taglio delle emissioni attraverso un diverso mix energetico con la progressiva uscita dalle fonti fossili si sta rivelando un errore.

Infatti è passato il messaggio che la transizione green farà aumentare i costi dell’energia rendendo meno competitiva l’economia del vecchio continente rispetto a Stati Uniti, Cina e le altre economie emergenti, meno sensibili ai richiami della lotta ai cambiamenti climatici.

La realtà è che concentrare le politiche e le misure sul taglio delle emissioni attraverso un diverso mix energetico con la progressiva uscita dalle fonti fossili si sta rivelando un clamoroso errore.

Il problema è ben più ampio e il taglio delle emissioni climalteranti è solo un aspetto. Secondo i dati del Global footprint network ogni anno consumiamo 1,75 volte l’ammontare delle risorse naturali che l’ecosistema terrestre riesce a rigenerare, ma i Paesi più ricchi e sviluppati sono divoratori insaziabili. L’Italia ad esempio esaurisce il budget di risorse a metà maggio e per il resto dell’anno contrae un debito con il pianeta. Se il resto del mondo fosse come l’Italia servirebbero 2,77 pianeti ed è una magra consolazione che gli Stati Uniti esauriscano il budget di risorse a inizio marzo o il Qatar il 9 febbraio. E tantomeno che nessun paese riesce ad andare in credito, soltanto l’Indonesia è in sostanziale pareggio (18 dicembre).

Il consumo globale è passato da 27 gigatonnellate nel 1970 a 89 nel 2017 e si stima che arriverà a 167 nel 2060 con la conseguente volatilità dei prezzi.

Il consumo di risorse a livello globale è sempre più insostenibile come indica un report dell’Ocse. Il consumo globale è passato da 27 gigatonnellatenel 1970 a 89 nel 2017 e si stima che arriverà a 167 nel 2060. Tale trend si riflette sulle quotazioni delle materie prime come stiamo già osservando, nonché sulla volatilità dei prezzi. Non ci sono rischi di esaurimento delle risorse non rinnovabili, ma la pressione a causa della domanda crescente non è bilanciata da riserve facilmente accessibili con la conseguenza che i costi di estrazione lievitano così come il livello di emissioni globali (oltre il 60% è provocato da estrazione, lavorazione e uso delle materie prime).

Mettere al bando le auto a motore termico entro il 2035 incentivando i veicoli elettrici ma al tempo stesso non intervenire sul consumo insostenibile di materie prime non è tanto una contraddizione quanto vanificare il processo di transizione green.

Ridurre le emissioni è un imperativo ma lo è ancor di più l’utilizzo efficiente dell’energia e delle materie prime. Il pianeta deve consumare meno energia ma soprattutto deve aspirare a cancellare gli sprechi di materiali. Non è questione di decrescita felice, ma sfruttare al meglio le risorse disponibili. Nonostante le severe normative ambientali la produzione pro capite di CO2 in Europa è simile alla Cina e tre volte superiore a quella dell’India.

L’economia circolare permette di allungare il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti al minimo, ma richiede la rimozione di barriere e vincoli.

Un’opzione è senza dubbio dare impulso all’economia circolare. Si tratta di un investimento strategico per l’Italia e per l’Europa considerando che il vecchio continente importa gran parte delle materie prime. L’economia circolare tuttavia è ancora un fenomeno alimentato dallo spontaneismo delle imprese. C’è un deficit da colmare in termini di indirizzi politici, strumenti incisivi di accompagnamento e diffusione di conoscenze e competenze.Allungare il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti al minimo non è un processo semplice e richiede la rimozione di barriere e vincoli. L’Italia ha conseguito buoni risultati ed è leader in Europa con il 19,3% di utilizzo circolare della materia rispetto al 12% della media UE ma i progressi da qualche tempo non sono più significativi. E sugli oltre 200 miliardi del Pnrrall’economia circolare sono destinati soltanto 5 miliardi.

E’ tempo di agire rapidamente per far girare l’economia circolare. Ce lo chiede la Terra verso la quale stiamo accumulando un debito che rischia di diventare insostenibile.

 

 

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