Casa “green”: dalla Ue niente multe e divieti, ma opportunità per piani a lungo termine

La riqualificazione energetica del nostro patrimonio immobiliare potrebbe comportare 1.800 miliardi di investimenti in venti anni favoriti da incentivi pubblici.

L’avvio dell’esame al Parlamento europeo della direttiva sull’efficienza energetica degli immobili ha scatenato l’ennesima polemica in Italia nei confronti dell’Europa. Dalla maggioranza di destra-centro sono partiti moniti e diktat nei confronti della norma europea. Tra i più folkloristici “la prima casa non si tocca”, “Bruxelles ci vuole imporre una patrimoniale”. Ma alcuni esponenti del governo Meloni nella foga di sparare sull’Europa hanno dimenticato che il ministro Pichetto-Fratin ha dato il via libera dell’Italia pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo esecutivo.

A scatenare le critiche della destra l’assunto che la direttiva imponga sanzioni e restrizioni sugli immobili non in regola con gli standard minimi di efficienza energetica. Peccato che il testo approdato all’Europarlamento non contenga alcun riferimento a multe e limitazioni. Saranno i singoli Stati a decidere quali strumenti e misure adottare per raggiungere gli obiettivi.

E’ ormai sperimentato che sanzioni e divieti in genere sono scarsamente efficaci per stimolare comportamenti virtuosi, tanto più nel caso specifico del patrimonio immobiliare pubblico e privato. Al tempo stesso è impensabile non programmare politiche mirate in materia di transizione green sugli immobili, dal momento che assorbono il 40% dei consumi energetici e sono responsabili per il 36% delle emissioni climalteranti. La letteratura legislativa e giuridica inoltre mostra con evidenza che le disposizioni di fonte comunitaria risultano tanto più efficaci quanto più sono flessibili lasciando ai singoli Stati la libertà di declinarle in funzione delle proprie caratteristiche.

Edifici più sicuri e meno inquinanti valorizzano le nostre città

Sul piano delle certezze, non è in discussione che il patrimonio immobiliare italiano necessiti di un profondo intervento di riqualificazione, sia per ridurre le emissioni e far costare meno le bollette e sia per la messa in sicurezza rispetto alle calamità naturali come i terremoti e le alluvioni che solo negli ultimi 13 anni hanno provocato costi superiori a 50 miliardi di euro oltre a quelli incalcolabili per le perdite di vite umane. Edifici più sicuri e meno inquinanti rispondono inoltre all’obiettivo più complessivo di riqualificazione urbana e valorizzazione delle nostre città.

E’ indubbio, inoltre, che il quadro strategico e legislativo europeo sull’efficienza energetica degli edifici sia uno dei primi impegni “green” dell’Europa (la prima Direttiva EPBD risale a circa 20 anni fa), e molti risultati sono stati nel frattempo raggiunti, ma ci sono ancora ostacoli da superare; uno di questi è, appunto, la necessità di favorire una più netta valorizzazione economica, sul mercato, degli immobili più efficienti.

In vista del traguardo della direttiva, sarebbe quindi auspicabile che l’Italia si doti di una politica a lungo termine per rispondere alle sfide della transizione e raggiungere gli obiettivi ambiziosi che l’Unione Europea si è data in termini di leadership globale dello sviluppo sostenibile.

Per il nostro Paese si tratta di mettere ordine a un sistema di incentivi eterogeneo che soffre di instabilità temporale e bulimia normativa. Da molti anni, oltre 20, l’Italia ha introdotto gli incentivi all’edilizia anche se soltanto il Superbonus 110% vincola il bonus al miglioramento della classe energetica.

Nel complesso il sistema degli ecobonus, nonché gli incentivi per dare impulso alle rinnovabili, producono molteplici effetti molto positivi: generano la crescita e l’occupazione in settori fondamentali, stimolano l’innovazione, il contrasto ai lavori “in nero” e favoriscono il processo di efficientamento energetico e di riqualificazione urbana.

La direttiva europea è un’opportunità per definire un programma a lungo termine

La direttiva per gli standard minimi di efficienza energetica rappresenta quindi l’opportunità per definire un programma a lungo termine per consentire al paese di realizzare un profondo processo di modernizzazione che sia sostenibile per le finanze pubbliche, le famiglie e il tessuto produttivo.

Alcuni studi stimano che la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare richiede investimenti intorno ai 1.800 miliardi di euro. Ma si tratta di un orizzonte lungo. Un percorso già iniziato (con il Superbonus sono stati attivati interventi sul 5% dei condomini italiani), da ben calibrare.

E’ evidente che un tale percorso deve essere accompagnato da un piano pluriennale di incentivazione pubblica, da misure stabili e certe, dalla programmazione delle risorse, abbandonando la pratica di interventi spot che rendono impossibile misurare i costi ed i benefici effettivi. Con un arco temporale a 20 anni l’impegno finanziario sarebbe assolutamente sostenibile per le casse pubbliche e per i privati. E un piano certo e stabile negli anni eliminerebbe le tensioni su prezzi e sugli approvvigionamenti dei materiali consentendo al mercato di funzionare in modo ordinato.

Il processo di decarbonizzazione richiede importanti investimenti ma non agire o muoversi con lentezza e ripensamenti produrrà costi economici e sociali enormemente superiori e insostenibili in un futuro prossimo. Accusare l’Europa di ogni misfatto potrà favorire il consenso a breve termine, ma non risolve i problemi storici dell’Italia.

 

 

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