Concorrenza: Taxi e balneari, consolidata allergia italiana

Per le auto bianche la politica si rimpalla la responsabilità fra governo e Comuni. Riguardo alle spiagge lo Stato incassa appena 105 milioni l’anno, 3mila euro per ogni concessione.

Sono passati 16 anni dalle lenzuolate di Pierluigi Bersani, ministro del secondo governo Prodi che aveva in animo di avviare un robusto processo di apertura dei mercati, rimuovendo ingiustificate restrizioni alla concorrenza che alimentano rendite e penalizzano i consumatori. Fu un provvedimento che si scontrò con numerosi avversari, anche dentro la maggioranza di centro-sinistra e da parte di molti sindaci.

Anche allora tra i punti più difficili figurava la questione delle licenze dei taxi. Da allora il rafforzamento della concorrenza ha compiuto soltanto qualche timido e sporadico progresso. E soprattutto per effetto delle direttive europee, a conferma che in Italia la cultura del monopolio e della difesa delle rendite resiste a qualsiasi stagione. Basti pensare che la legge annuale sulla concorrenza istituita nel 2009 è stata approvata soltanto due volte.

Da oltre due anni al centro del dibattito ci sono le concessioni balneari e le licenze dei taxi che offrono interessanti spunti per una riflessione sull’approccio delle forze politiche. Si tratta di due ambiti che non riguardano in modo specifico la concorrenza. Le concessioni sono soprattutto un esempio della pessima capacità dello Stato di valorizzare i beni pubblici (L’aumento delle concessioni non comporta in automatico un calo dei prezzi). I taxi sono un servizio pubblico essenziale con tariffe amministrate, decise dai comuni e che devono essere approvate dall’Autorità trasporti (se i taxi di Roma raddoppiassero il prezzo della corsa non subirebbe

Cresce la tendenza agli affidamenti in-house di molti servizi che potrebbero essere messi a gara

Al cittadino comune può sembrare che le questioni più urgenti per favorire non tanto la concorrenza quanto la possibilità di ingresso di nuovi operatori siano spiagge e taxi. Fosse così l’Italia sarebbe il paradiso del libero mercato, ma la realtà è profondamente diversa. Esistono infatti molti mercati con assetti regolatori obsoleti e a forte impronta protezionista che frenano l’innovazione e la modernizzazione delle attività a spese dei consumatori.

I servizi pubblici locali rappresentano la punta dell’iceberg di un capitalismo municipale che fa dell’inefficienza il suo tratto distintivo. L’Antitrust bacchetta continuamente gli enti locali per la crescente tendenza agli affidamenti in-house di molti servizi che potrebbero essere messi a gara. Ma allargando il campo compaiono la distribuzione farmaceutica dove le para-farmacie da anni reclamano, finora invano, maggiori spazi di operatività. E poi il rinnovo automatico delle concessioni del settore idro-elettrico, delle acque minerali, le forti restrizioni nelle attività libero-professionali (pensiamo ai notai), le storture dei mercati dell’energia elettrica e del gas.

Le spiagge non sono una risorsa scarsa e non sarebbero necessarie le gare

Tuttavia non devono essere ridimensionate le questioni dei balneari e dei taxi per il loro significato politico. Sui primi il tavolo tecnico a Palazzo Chigi ha concluso il lavoro sostenendo che le spiagge in concessione sono soltanto il 33% del totale e dunque viene meno il principale requisito della direttiva Bolkestein: non essendo una risorsa scarsa non c’è bisogno di ricorrere alle gare per il rinnovo delle concessioni. Argomento la cui solidità è tutta da dimostrare e che trascura il punto fondamentale: Il vero problema è il bassissimo valore che lo Stato incassa, appena 105 milioni di euro l’anno, circa 3mila euro per ogni spiaggia in concessione.

Sul capitolo taxi c’è una emergenza sotto gli occhi di tutti, in particolare a Roma e Milano dove trovare un’auto bianca ormai è un’impresa. Il governo ha varato un decreto che ha scontentato tutti, tassisti e sindaci. Il primo cittadino di Roma Gualtieri è stato protagonista di una vivace polemica con il ministro Urso. Secondo Gualtieri e molti altri sindaci il provvedimento del governo non è utilizzabile, il governo replica che i comuni hanno la norma per aumentare le licenze. Come spesso accade assistiamo a un rimpallo di responsabilità. Il governo ha fatto un decreto pasticciato con l’intento di scaricare il dossier licenze sui comuni, la risposta dei sindaci è strumentale perché la legge Bersani del 2006 già consente ai comuni di chiedere di aumentare il numero delle licenze.

Ci vorrebbe un maggiore utilizzo del parco circolante che potrebbe essere monitorato

Per aumentare licenze e ritoccare le tariffe ogni comune deve predisporre un regolamento sul quale si deve esprimere l’Autorità trasporti. Molti comuni il regolamento devono ancora presentarlo. Negli ultimi due anni l’Autorità ha espresso pareri su 12 regolamenti comunali per il servizio taxi, su 11 richieste per aumenti delle tariffe mentre soltanto tre comuni hanno presentato richiesta per aumentare le licenze: Siena (3 nuove licenze), Pisa (3) e Sulmona (2).

I comuni possono aumentare il numero delle licenze fino al 20% del totale, il decreto asset introduce anche le licenze temporanee (fino a due anni) in caso di eventi straordinari come il Giubileo a Roma o flussi turistici in determinati periodi dell’anno. Eppure l’offerta taxi non aumenta. Le licenze temporanee sono un fallimento annunciato. I taxi infatti non possono operare come impresa e quindi non possono sottoscrivere contratti di leasing per l’auto. E chi acquista un’auto che potrà utilizzare al massimo per due anni?

Il numero delle licenze è fondamentale, ma ai fini dell’offerta conta molto di più l’operatività dei taxi. A Roma ad esempio l’unico vincolo è il numero minimo in servizio (2.400 su oltre 5mila licenze). I limiti normativi sul conducente limitano fortemente l’offerta: un’auto bianca circola soltanto per le ore di turno del conducente titolare. Il comune, in quanto responsabile del servizio pubblico taxi, potrebbe, e dovrebbe, chiedere ai titolari e alle cooperative un maggiore utilizzo del parco circolante e potrebbe, dovrebbe, grazie alla tecnologia, effettuare monitoraggi per verificare quanti sono i taxi in servizio effettivo nelle varie fasce orarie. Insomma ci sono molti strumenti per migliorare la mobilità ma la politica a tutti i livelli preferisce la tattica piuttosto che dare risposte ai bisogni delle persone.

 

 

 

 

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