Crisi Governo: si allarga il fossato tra politica e opinione pubblica

Le tensioni nella maggioranza, che ha finora sostenuto l’esecutivo di Mario Draghi, si accentuano mentre si diffonde il disagio sociale e la povertà, sullo sfondo della incapacità del Paese di crescere

Le tensioni sono sfociate nella crisi della eterogenea maggioranza. Da qualche tempo era evidente la difficoltà per l’esecutivo di governare le crescenti fibrillazioni tra le forze politiche che sono in perenne campagna elettorale.

Può sembrare curioso che il M5S neghi la fiducia su un decreto da 15 miliardi di sostegni solo per la presenza nel testo del termovalorizzatore di Roma, e mentre sta partendo un tavolo tra il governo, sindacati e associazioni datoriali per scrivere un patto sociale. Ci sono tutti gli ingredienti per allargare il fossato che separa la politica dall’opinione pubblica ben evidenziato dalla crescita impetuosa del partito dell’astensione alle recenti amministrative.

Nelle ultime settimane dall’Inps e dall’Istat sono arrivati indicatori assai preoccupanti sulla crescita del disagio sociale, sull’allargamento dell’area della povertà. Fenomeni che riflettono la strutturale incapacità del paese di incamminarsi sulla crescita, l’unica via per innalzare i redditi e combattere le diseguaglianze.

E tuttavia anche dalle prese di posizione di molte associazioni datoriali e dagli stessi sindacati i temi dei salari, i livelli di tassazione, il futuro della previdenza sembrano assolutamente sganciati rispetto alla ricerca di politiche e strategie per aumentare il potenziale di crescita dell’Italia.

Non basta fissare per legge il salario minimo per assicurare una esistenza dignitosa 

Purtroppo le scorciatoie non esistono e tantomeno formule magiche di riallocazione di risorse. Insomma non basta fissare per legge il salario minimo per assicurare una esistenza dignitosa alle persone che lavorano rispettando il dettato costituzionale. Le esperienze in Europa sono molto eterogenee al riguardo ma alcuni fenomeni sono indicativi. La Germania ad esempio dopo aver introdotto il salario minimo per legge ha visto scendere negli ultimi due anni la quota di lavoratori tutelati dalla contrattazione collettiva.

Una politica veramente attenta alla ricerca di soluzioni efficaci per rispondere alle difficoltà sociali ed economiche delle persone dovrebbe evitare di trasformare proposte in totem identitari e ideologici. Come ha riconosciuto lo stesso ministro del lavoro Andrea Orlando, applicare già oggi i migliori contratti di lavoro di categoria significa far uscire 2,5 milioni di lavoratori da retribuzioni sottopagate. Una legge sulla rappresentanza significa spazzare via la pratica diffusa dei contratti pirata, che in pochi anni sono saliti da circa 400 a oltre 900.

Tagliare il cuneo fiscale (l’insieme di tasse e contributi che gravano sulle retribuzioni) è operazione complessa. Per far salire il netto in busta paga dei lavoratori deve essere una manovra consistente, almeno 25-30 miliardi, altrimenti è poco più di una mancia che non modifica i livelli retributivi. E occorre onestà intellettuale perché intervenire sulle retribuzioni con la finanza pubblica significa tagliare altri tipi di prestazioni. Il cuneo fiscale in Italia è allineato a quello della Germania, inferiore a quello in Francia. E’ ipotizzabile un intervento una tantum assumendo che la fiammata dell’inflazione sia destinata a rientrare nei prossimi mesi. Prospettiva irrealistica considerando che la stessa Banca centrale europea ha riconosciuto che nel medio termine l’area euro dovrà convivere con un andamento dei prezzi non allineato al mandato della BCE.

Alla crescita servono più politiche anticicliche 

Il recupero del Pil realizzato l’anno scorso e la performance ancora positiva nella prima parte del 2022 a dispetto di emergenza energetica e della guerra in Ucraina indica chiaramente che soltanto la crescita economica può ridurre il disagio economico. I percettori del reddito di cittadinanza in appena 12 mesi sono scesi da 3,1 a 2,2 milioni. La discesa del numero ha poco a che fare con le modifiche introdotte nell’ultima legge di bilancio mentre dipende in larga parte dal rimbalzo della crescita.

Servono dunque più politiche anticicliche. Mutuando l’espressione che ripete spesso il presidente del consiglio c’è una profonda differenza tra il debito buono e debito cattivo. Il primo è funzionale alla crescita, ne accresce il potenziale.

Tra i pochi strumenti di politica economica orientati allo sviluppo gli incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici. Alcuni studi ne evidenziano l’impatto positivo sul tessuto economico e per la riduzione delle emissioni climalteranti. Nomisma ha calcolato che il solo Superbonus 110% è un volano economico da 125 miliardi a fronte dei 38,7 miliardi di detrazioni pubbliche. In sostanza ogni euro investito ne attiva oltre 3 in termini di crescita economica. Nonostante lo strumento sia stato sottoposto a una compulsiva produzione normativa che ha generato incertezza e confusione. Da ultimo proprio la conversione del decreto aiuti. La disposizione introdotta per facilitare la cessione dei crediti d’imposta in realtà rischia di non produrre risultati. Il legislatore infatti ha dimenticato di abrogare la disposizione transitoria che autorizzava le cessioni multiple solo per quei crediti comunicati all’Agenzia delle Entrate dopo il primo maggio scorso. Una metafora dell’Italia.

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