Decreto Lavoro: il cuore è la stretta sul reddito di cittadinanza

Il Governo Meloni resta convinto che l’emergenza di lavoratori dipenda dal provvedimento voluto dai Cinquestelle che invita i giovani al ‘’divano’’.

Con un omaggio alla liturgia e alla retorica il Governo varerà il primo maggio il decreto sul lavoro. Il provvedimento è accompagnato da forti polemiche dei sindacati e delle opposizioni che accusano Governo e maggioranza di voler tagliare i sussidi e soprattutto  alzare il livello di precarietà.

Curiosamente l’elemento principale del decreto non è il lavoro, bensì il giro di vite sul reddito di cittadinanza. Al di là delle singole misure, ciò che emerge è un approccio scollegato rispetto alla realtà e l’incapacità di definire un intervento per contrastare la povertà.

La lettura del provvedimento mostra un deficit di analisi sull’andamento del mercato del lavoro. Causali più soft per i contratti a termine sembrano rispondere più a visioni ideologiche che alle reali esigenze. Nonostante l’incertezza a causa dell’inflazione, i costi energetici e delle incognite sulla guerra in Ucraina, l’economia continua a marciare a buon ritmo tanto che le imprese avvertono quale priorità la difficoltà a reperire personale. Nel 2022 gli occupati sono aumentati di oltre 545mila unità e nel primo trimestre dell’anno in corso altri 100mila, accompagnati da una crescita del 12% delle ore lavorate. L’aumento è stato quasi interamente da contratti a tempo indeterminato, stabili quelli a termine e in calo l’apprendistato. Dunque si consolida la crescita qualitativa del mercato del lavoro, e una ritrovata dinamicità che si riflette nell’aumento delle dimissioni volontarie, segnale inequivocabile che i lavoratori cercano e spesso trovano lavori migliori.

Pertanto le imprese in questa fase non hanno l’esigenza di lavoratori a tempo parziale, al contrario incontrano notevoli difficoltà a trovare personale come conferma l’ultimo report Excelsior che indica in oltre 600mila i posti di lavoro che non si riesce a coprire. La stessa ministra Calderone parla di oltre un milione di lavoratori di cui ha bisogno il tessuto produttivo. Il recente click day previsto dal decreto flussi ha registrato quasi 300mila domande da parte delle imprese a fronte di 82mila ingressi.

La Mia sostituita da tre misure: Gil, Gal, Pal, per accompagnare al lavoro

Il Governo e la maggioranza di destra-centro rimangono fedeli all’idea che la causa dell’emergenza dei lavoratori che non si trovano sia il reddito di cittadinanza che spinge specialmente i giovani a preferire il comodo divano rispetto a un posto di lavoro.

Il cuore del decreto in arrivo è proprio la stretta sul reddito di cittadinanza e un fiorire di nuovi acronimi. La Ministra Calderone aveva annunciato l’arrivo della Mia (Misura inclusione attiva) soltanto un mese fa. La Mia è andata in soffitta prima ancora di vedere la luce, sostituita addirittura da tre misure: Gil (Garanzia per l’inclusione), Gal (Garanzia per l’attivazione lavorativa), Pal (Prestazione di accompagnamento al lavoro). Complicare e confondere è lo sport preferito dei tecnici dei ministeri, tanto più che i nuovi strumenti per il superamento del reddito di cittadinanza presentano differenze minime.

In particolare riguardano esclusivamente le condizioni economico-patrimoniali dei richiedenti e gli importi dell’assegno. L’idea del Governo è di dividere la platea delle famiglie meno abbienti tra povere e molto povere e di conseguenza calibrare in modo diverso l’entità dei sostegni. Nel complesso c’è un drastico taglio alla dimensione e durata del sussidio partendo dal fatto che si abbassa la soglia Isee che concede l’accesso al beneficio da 9.600 a 7.200 euro. Già questo restringe in modo rilevante la platea, come se il Governo possa stabilire la definizione di famiglie povere.

Ma l’aspetto più paradossale è che il provvedimento Meloni-Calderone non rimuove le criticità e le storture del reddito di cittadinanza. E’ ormai ampiamente riconosciuto che la misura fortemente voluta dal M5S è stata concepita con un sovraccarico di obiettivi: contrastare la povertà e favorire l’ingresso nel mondo del lavoro. Al tempo stesso il reddito di cittadinanza si è rivelato incapace di raggiungere molte famiglie povere.

Il nuovo decreto non interviene in alcun modo per introdurre le necessarie correzioni. Gil, Gal e Pal infatti sono in sostanza misure di accompagnamento al lavoro. L’approccio è che tutti i beneficiari del sussidio siano occupabili, tant’è che saranno obbligati a sottoscrivere il patto per il lavoro per non perdere l’assegno.

Manca sempre uno strumento di contrasto alla povertà

Continuano a mancare uno strumento di contrasto alla povertà e misure di sostegno per i lavoratori poveri alimentando un fenomeno quasi esclusivamente italiano: redditi fermi, robusta domanda di lavoro, tasso di occupazione in lieve aumento e ampliamento dell’area del disagio. E’ evidente l’urgenza di distinguere le politiche di sostegno rispetto alle politiche attive, altrimenti il corto circuito è garantito.

C’è un altro elemento che contraddice le intenzioni del governo di premiare la natalità. Un altro limite del reddito di cittadinanza è l’incapacità di distinguere i single dalle famiglie con figli. La scala di equivalenza non dava rilievo ai figli e lo stesso avviene anche nel decreto Meloni-Calderone. Inoltre si dovrebbe prendere atto delle notevoli differenze del costo della vita sul territorio (900 euro mensili a Milano corrispondono a 480 a Catania).

La sostanza è che il sussidio, anche se ridotto, continuerà ad essere percepito da richiedenti che non sono poveri mentre molte famiglie povere continueranno ad essere escluse.

 

 

 

 

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