Nella storia repubblicana non era mai accaduto che un governo dimissionario e un Parlamento senza maggioranza approvassero provvedimenti di grande rilevanza. Nel giro di pochi giorni la Camera ha convertito il decreto aiuti e il decreto semplificazioni, mentre l’esecutivo è impegnato a varare un nuovo decreto aiuti da oltre 14 miliardi, quasi l’entità di una legge di bilancio. In questa istantanea c’è l’assurdità della crisi di governo. Ci sono alcune emergenze e impegni vincolanti che hanno bisogno di continuità di governo e del Parlamento.
Il premier Draghi non parla più con i partiti e per il nuovo decreto ha incontrato le parti sociali, un modo per dare legittimazione popolare a un provvedimento per assicurare sostegni a famiglie e imprese. Le agevolazioni sui carburanti infatti scadono il 21 agosto e quelle sulle bollette di elettricità e gas a fine settembre. Il Governo quindi a breve deve assicurare la proroga di questi sostegni che valgono quasi 4,5 miliardi. Inoltre la proroga del bonus da 200 euro che probabilmente verrà trasformato in uno sgravio fiscale e vale altri 6,8 miliardi. L’andamento positivo dei conti pubblici consente una manovra fino a circa 14 miliardi e pertanto c’è uno spazio finanziario per un mini intervento sulla rivalutazione pensioni e sul cuneo fiscale.
Approvate dal Parlamento le riforme legate ai fondi Pnrr
Impossibile però andare oltre. Anche l’attivismo parlamentare ha un evidente limite. La conversione dei decreti semplificazioni, aiuti e infrastrutture e l’approvazione della legge sulla concorrenza rientrano nell’ambito degli atti dovuti e al tempo stesso sono determinanti per rispettare i vincoli previsti dal Pnrr per consentire all’Italia di incassare le prossime due tranche di risorse per oltre 50 miliardi di euro.
La delega fiscale invece è destinata a naufragare mentre quella per il nuovo codice degli appalti è riuscita ad approdare in porto. Mancano i decreti delegati che andranno in eredità al prossimo Parlamento con il termine del prossimo marzo per completare un’altra riforma che condiziona la realizzazione del Pnrr.
La fine del governo e lo scioglimento delle Camere lasciano aperti alcuni dossier di particolare rilevanza. Tra i principali la definizione della cornice legislativa per il salario minimo e l’intervento sul cuneo fiscale. Il tavolo con le parti sociali era ben avviato ma si è dovuto fermare all’ultimo miglio, quando il ministro del lavoro Andrea Orlando stava definendo i dettagli dello schema di legge sul quale incassare il via libera di imprese e sindacati.
Preoccupazioni riguardano CDP e alcune aziende come l’ex Ilva e Ita
Tutto da scrivere il capitolo delle pensioni. Nell’agenda Draghi c’era l’intenzione di aprire un tavolo con parti sociali e forze politiche dopo la pausa estiva. La questione è che dal primo gennaio del 2023 vanno in archivio quota 100 e quota 102.
Le dimissioni di Draghi alimentano qualche legittima preoccupazione anche sui dossier che riguardano le principali imprese del paese. E le quotazioni azionarie rappresentano un fedele termometro per misurare il livello di incertezza.
Nonostante la crisi energetica Eni e Enel non hanno sofferto a Piazza Affari, specialmente la prima, Leonardo e Fincantieri hanno sovraperformato l’indice. Gli interrogativi si concentrano su Tim e MPS, la prima ha perso il 21% nell’ultimo mese mentre la banca senese ha lasciato sul terreno il 37%. Tim ha delineato il nuovo piano che poggerà sulla separazione tra servizi e rete, per essere funzionale all’integrazione con Open Fiber.
Il governo che verrà sarà determinante e il mercato teme qualche scossone all’interno di CDP con ripercussioni sul riassetto delle tlc sotto l’ombrello del MEF. La creazione della rete unica procede a passo di lumaca confermando che nella storia degli ultimi 20 anni di TIM gli azionisti, sia pubblici che privati, non hanno certo brillato per efficienza e visione.
Per MPS la situazione è ancor più incerta. L’ad Lovaglio ha avviato il progetto di ristrutturazione e cessione dell’istituto a soggetti privati sostenuto da un aumento di capitale da 2,5 miliardi da realizzare in autunno. Anche se la privatizzazione ha il sostegno di BCE e Unione europea, il ruolo del MEF è decisivo per il destino della banca che troppe volte è stata strumentalizzata nelle campagne elettorali. Potrebbe non essere scontato il via libera alla cessione da parte del nuovo governo.
A completare il quadro ci sono l’ex Ilva e Ita. La prima vive una nuova fase di fibrillazione sindacale a causa l’incertezza su piani industriali e investimenti. Per la compagnia aerea deve partire la trattativa privata per la cessione. Sarebbe un atto dovuto anche per un governo in carica solo per il disbrigo degli affari correnti ,ma non è da escludere che finisca nel frullatore della campagna elettorale.Draghi non procederà al rinnovo anticipato dei vertici di alcuni gruppi pubblici. Secondo indiscrezioni alcuni pezzi dell’ex maggioranza avrebbero voluto anticipare le nomine che scadono la prossima primavera, magari invitando i cda in carica alle dimissioni volontarie. Ipotesi che ha avuto vita assai breve. La circolare del presidente del consiglio ha chiarito che il capitolo nomine non rientra tra gli affari correnti di competenza del governo dimissionario. Sarà il nuovo governo a nominare i vertici di Eni, Enel, Leonardo e Terna.