Economia in crisi: dallo spettro dell’inflazione benefici per lo Stato ma il conto lo pagano i consumatori

La guerra in Ucraina sta facendo scivolare l’economia mondiale, ma soprattutto quella europea in un territorio sconosciuto, difficile da leggere e comprendere

Nel vocabolario dell’economia sono tornati con prepotenza termini come inflazione e stagflazione che avevamo riposto in soffitta da oltre 20 anni. Accanto a loro recessione e crisi con i quali invece conviviamo da sempre. La guerra in Ucraina sta facendo scivolare l’economia mondiale ma soprattutto quella europea in un territorio sconosciuto, difficile da leggere e comprendere. Il 2022 doveva essere l’anno del rilancio sulla spinta del notevole rimbalzo dei dodici mesi precedenti, ma i rincari delle materie prime e poi l’invasione decisa da Putin hanno avviato un cortocircuito politico ed economico.

Italia e Germania all’interno del vecchio continente sono i Paesi più esposti a causa dell’elevata dipendenza dal gas russo. Nel clima di profonda incertezza un rallentamento del ritmo di crescita è scontato come anticipato da tutti i maggiori previsori. La differenza è l’ampiezza della frenata del ciclo. Confindustria è il più pessimista prevedendo per il 2022 una crescita di appena l’1,9%. Considerando che il 2022 beneficia di una crescita acquisita dall’anno scorso del 2,3%, le previsioni degli industriali pendono verso la recessione tecnica (almeno due trimestri consecutivi con il segno meno).

Il Governo meno pessimista prevede crescita del 3,1 per cento ma il gas russo resta un’incognita 

Il Governo invece è meno pessimista anche se orientato alla prudenza. Il Documento di Economia e finanza mostra una crescita del 3,1%, ma nel caso di stop totale del gas russo il tasso di espansione crollerebbe allo 0,6%. Nel complesso quindi le stime del Governo Draghi tengono conto della crisi bellica ma in modo contenuto, lo scenario senza gas russo sembra rispondere più a un esercizio statistico che a una concreta convinzione. D’altra parte Putin non si può permettere di bloccare i flussi verso l’Europa e lo dimostra il fatto che mentre bombarda l’Ucraina continua a vendere il gas a Kiev.

In ogni caso ci attendono tempi difficili. L’unica certezza è l’impennata dei prezzi ai massimi da oltre 20 anni e che sembrano orientati a salire ancora. A febbraio infatti i prezzi alla produzione hanno accusato un balzo del 32% su base annuale ed è impensabile che oltre i due terzi possano essere assorbiti dal sistema produttivo.

La stagflazione prospettiva concreta coi prezzi che salgono e l’economia che ristagna 

La stagflazione è una prospettiva molto concreta, vale a dire una fase in cui i prezzi salgono ma l’attività economica ristagna, sempre confidando che la crisi ucraina si risolva in modo positivo e in tempi rapidi.

La risposta in termini di politica economica e monetaria ad oggi è piuttosto variegata. La Federal Reserve americana ha già avviato la stretta monetaria procedendo ai primi rialzi dei tassi di interesse e incassando molte critiche per l’atteggiamento da falco. La BCE invece mantiene una politica accomodante, lasciando i tassi invariati e continuando nel programma di acquisto di titoli di Stato anche se con minore intensità. Il motivo è che a Francoforte guardano soprattutto all’inflazione core, quella cioè senza la componente energetica, e l’andamento dei prezzi non è ancora a livelli di guardia.

Tuttavia tornare a vivere con l’inflazione comporta cambiamenti piuttosto significativi nel tessuto economico e nel vivere quotidiano. Il rialzo dei prezzi è una pessima notizia per i consumatori e per chi detiene risparmi mentre offre notevoli vantaggi a chi è indebitato. Guardando all’Italia nella seconda categoria c’è certamente lo Stato con il suo enorme debito pubblico. Grazie all’inflazione, il Pil nominale stimato dal governo è allineato alle indicazioni di settembre. In sostanza lo shock inflattivo compensa la minore crescita consentendo alle casse pubbliche di beneficiare di un costo del debito percentualmente inferiore al tasso di crescita economica e così il rapporto debito/pil dal 150,8% del 2021 al 146,8% del 2022.

L’inflazione elevata sarà un elemento cruciale nei rinnovi contrattuali l’anno prossimo

Grazie all’inflazione lo Stato potrà finanziare alcune spese in modo più agevole senza dover rivedere il deficit al 5,6%. L’indicazione è di un tesoretto da quasi 10 miliardi di cui la metà per sostegni a famiglie e imprese. Tutto dipende da quanto durerà la tensione sui prezzi energetici. Solo lo sconto delle accise sui carburanti, prorogato fino a inizio maggio, costa quasi 600 milioni al mese.

Di contro l’inflazione elevata erode i risparmi, che nel corso della pandemia sono aumentati in Italia di circa 120 miliardi di euro e che potevano essere dirottati verso investimenti produttivi. Ma soprattutto comprime il potere d’acquisto dei consumatori. Per un paese come l’Italia che da 20 anni registra una stagnazione dei redditi, l’inflazione elevata sarà un elemento cruciale nei rinnovi contrattuali l’anno prossimo. Da oltre dieci anni c’è un accordo tra le parti sociali (ma non sottoscritto dalla Cgil) secondo il quale nei rinnovi si deve tener conto dell’inflazione al netto della componente energia. Ma se la spirale degli aumenti dovesse portare l’inflazione in area 10%, è assai probabile che quell’accordo diventerà carta straccia.

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