Economia/previsioni: più ombre che luci sulla crescita dell’Italia

Record storico delle esportazioni, ma incombono caro-bollette e inflazione. Il Pnrr sfida lo Stato a triplicare la capacità di spesa.

L’economia italiana archivia il 2021 con una performance che ha superato ogni più rosea previsione. Il recupero del Pil del 6,5% colloca il Belpaese ai vertici europei per intensità della crescita e lo proietta verso un 2022 con una dinamica ancora sostenuta.

I tassi di crescita tuttavia sono sempre il combinato disposto di politiche economiche e qualità del tessuto produttivo. Sarebbe pericoloso dare per scontato che l’Italia abbia ritrovato per magia il sentiero dello sviluppo dopo un ventennio di crescita inesistente.

I risultati dell’anno alle spalle devono far riflettere su alcune questioni dirimenti. L’Italia ha dimostrato di possedere alcuni punti di forza che la crisi pandemica ha messo in risalto ma anche croniche debolezze da rimuovere. In prospettiva le seconde prevalgono sulle prime, le ombre sono superiori alle luci.

Il Made in Italy viaggia nel mondo grazie a 200mila imprese e il 40% sono con meno di 10 dipendenti 

Il contesto pandemico ha dimostrato le indubbie capacità del sistema produttivo nazionale di adattarsi rapidamente ai mercati. Il record storico delle esportazioni che sfiorano i 600 miliardi è la conferma che piccolo non sempre è brutto, tutt’altro. Il Made in Italy viaggia nel mondo grazie a 200mila imprese e il 40% sono con meno di 10 dipendenti. Questo variegato tessuto produttivo ha investito nel miglioramento della qualità e nel riposizionamento geografico. Sulla base dei dati Comtrade fatto 100 l’indice di diversificazione geografica dell’export nel 2000, l’Italia si attesta a 178, la Spagna a 145, Francia, Germania e Gran Bretagna tra 117 e 125. I principali 5 mercati di sbocco dell’export italiano nel 2001 rappresentavano il 56% del totale mentre oggi sono al 40%.

Preoccupante carenza di figure professionali con specifiche competenze

Anche per l’anno in corso è prevedibile un contributo positivo dalle esportazioni ma la flessibilità e il dinamismo delle nostre imprese non può sopperire alle croniche criticità del sistema Italia. Tra queste sta diventando preoccupante la carenza di figure professionali con specifiche competenze. Da anni è nota la carenza di ingegneri ma nell’ultimo anno l’operaio specializzato è diventato assai raro. Dagli ultimi dati del Bollettino Excelsior di Unioncamere e Anpal emerge che il 60% delle imprese lamenta la difficoltà a reperire queste figure. A titolo di confronto per un ingegnere elettrotecnico la percentuale scende al 40%. La quantità di diplomati degli istituti tecnici (circa 20mila l’anno) non riesce a soddisfare la richiesta delle imprese (75mila le richieste a fine 2021).

Il caro-energia e l’inflazione stanno diventando due autentici spauracchi

Sulla crescita del Paese incombono altre ombre. La principale è la ripresa fortemente disomogenea. Molti settori non hanno ancora agganciato il treno dello sviluppo come il turismo che fino al 2019 pesava per il 15% del Pil e nel medio termine non si vedono segnali incoraggianti. La crisi del turismo e dell’indotto tiene alta la disoccupazione. Le rigidità del mercato del lavoro, la scarsa efficienza dei centri per l’impiego, la pochezza dei programmi di formazione impedisce la mobilità delle persone che perdono il lavoro. I posti vacanti sono stabilmente sopra l’1,5%, vale a dire circa 400mila lavori per i quali sembra impossibile trovare persone.

Ma sulla strada della crescita duratura e sostenibile, l’Italia deve fare i conti con altri elementi di debolezza. Il caro-energia e l’inflazione stanno diventando due autentici spauracchi. E’ vero che sono fenomeni globali ma per l’economia italiana hanno una incidenza maggiore rispetto ai principali competitor. Le bollette aumentano ovunque ma nella Penisola la crescita è ben superiore rispetto a quasi tutta l’Europa a causa del mix energetico e dei meccanismi di formazione del prezzo dell’energia elettrica. L’Italia è tra i più dipendenti del gas e sono le centrali a gas, di fatto, a determinare il prezzo dell’energia all’ingrosso. I sussidi a pioggia per fronteggiare l’impennata delle bollette nel medio termine producono distorsioni evidenti. Intervenire sulle famiglie a basso reddito risponde ha una logica sociale ma il sussidio generalizzato non rappresenta la soluzione, in quanto non modifica tanto la domanda quanto l’offerta.

L’inflazione rischia di alimentare un circolo vizioso. La bassa marginalità delle imprese italiane non consente di assorbire i rincari di energia e materie prime scaricando gli incrementi sui prezzi finali. L’inflazione mina anche il risparmio degli italiani che negli ultimi due anni è aumentato di oltre 300 miliardi. L’unico grande beneficiario è lo Stato con il suo enorme debito pubblico. Un tasso di inflazione in media del 5% significa un calo reale del debito di circa 140 miliardi in un anno.

Pnrr: la sfida è triplicare la capacità di spesa della pubblica amministrazione in pochi mesi.

Infine il tema Pnrr. Il piano per ammodernare il paese e migliorare la competitività. Le attenzioni sono riversate esclusivamente sulla capacità di sbloccare gli investimenti e alcuni sono determinanti come la dotazione di fibra ottica, il potenziamento di alcune infrastrutture fisiche funzionali alla logistica. La sfida è triplicare la capacità di spesa della pubblica amministrazione in pochi mesi. Missione impossibile se l’esercito delle stazioni appaltanti non compie un salto in avanti in termini di qualità e competenze; se i conflitti di attribuzioni restano la regola; se la burocrazia obbliga le imprese e i cittadini ad attendere anche 30 mesi per una autorizzazione. Una foresta pietrificata e forse nemmeno Mario Draghi riuscirà nell’impresa.

 

 

 

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