Dietro lo slittamento dei tempi per il varo della manovra c’è un rinnovato protagonismo delle forze politiche che dopo il voto amministrativo hanno deciso di riprendersi la scena e delimitare il campo di azione del Governo.
La legge di bilancio firmata da Mario Draghi e Daniele Franco ha impiegato così oltre 15 giorni e due passaggi in consiglio dei ministri prima di approdare al Senato per iniziare l’iter parlamentare. Slittamento necessario per trovare una serie di compromessi su alcune misure simbolo, in particolare la stretta sul reddito di cittadinanza e la rimodulazione dei bonus per l’edilizia.
Una revisione per compensare il superamento di quota 100. Sembra la riedizione di quanto accaduto dieci anni fa con il Governo Monti: una maggioranza bulgara che approva qualsiasi cosa nel pieno dell’emergenza finanziaria e che appena intravede l’uscita dal tunnel smonta i provvedimenti del governo tecnico di larghe intese. La profonda differenza è che la politica economica nel 2011 era dettata dall’austerità mentre oggi è l’esatto contrario, fare debito non è più un tabù. Anzi spendere molto è diventata una virtù.
Modifiche più per equilibrismi politici che efficacia degli strumenti
E tuttavia le modifiche introdotte appaiono rispondere a logiche di equilibrismi politici più che all’efficacia degli strumenti. Il comun denominatore è una stretta agendo sui criteri di accesso e rafforzando i controlli burocratici ex ante piuttosto che le verifiche ex post. L’apparato pubblico conferma ancora una volta l’incapacità strutturale di effettuare controlli efficaci preferendo la via più semplice del muro burocratico.
Merita attenzione la ridefinizione dei bonus per l’edilizia dalla quale emergono altre due criticità fisiologiche del sistema Italia: mancanza di certezza e stabilità delle misure e incontinenza normativa. Si producono talmente tante norme che spesso non diventano nemmeno operative. Basti pensare all’IRI (Imposta sul reddito d’impresa), abrogata prima ancora di diventare operativa.
Eppure i bonus per l’edilizia stanno fornendo un contributo determinante al rimbalzo del Pil. Secondo alcune stime i lavori che beneficiano di detrazione nel 2021 sfioreranno i 50 miliardi di euro, con una impennata del 73% sul 2020 e del 62% sul 2019. Numeri che dimostrano l’efficacia degli interventi. Ma dopo un anno si cambia. La proroga del 110% e dei bonus minori è stata condizionata a una stretta che di fatto taglia fuori le unità unifamiliari. Introdurre il tetto Isee di 25mila euro per aver accesso al Superbonus significa lasciarlo solo per i condomini che, sulla base dei dati Enea, rappresentano soltanto il 13% degli interventi autorizzati e il 48% del valore. La prospettiva quindi è una compressione dello strumento che nonostante il forte incremento degli ultimi mesi chiuderà l’anno mobilitando un volume di risorse pubbliche ben inferiore a quelle stanziate in legge di bilancio.
La rimodulazione comporta anche una discriminazione a livello territoriale. I condomini caratterizzano l’urbanistica delle grandi città ma sono quasi del tutto assenti nei piccoli comuni.
Altra novità rilevante è il decreto sui controlli antifrode. E’ necessario scongiurare irregolarità e truffe ma potenziare le prescrizioni e inasprire le sanzioni serve a poco. Al contrario, provoca incertezza e frena gli investimenti. La conferma arriva proprio dal Superbonus. Introdotto con la legge di bilancio 2019 ha iniziato a funzionare in modo efficace a distanza di quasi due anni e grazie a una serie di interventi di semplificazione.
Il bonus 110% più appetibile, ma quello al 65% più praticato per minori vincoli
I bonus per l’edilizia e l’andamento negli ultimi due anni dimostrano che per alcune misure la certezza e la stabilità nel tempo sono elementi più importanti della stessa dotazione finanziaria. Sfruttando il Pnrr e le risorse europee sarebbe possibile una programmazione fino al 2026. In questa logica si può immaginare una articolazione degli incentivi prevedendo un progressivo decalage del beneficio. Ad esempio dal 110% a scendere fino al 70%. Al tempo stesso le continue modifiche hanno generato un sistema degli incentivi piuttosto ingarbugliato. Teoricamente il 110% è quello più appetibile, nella realtà l’ecobonus al 65% è quello più praticato per i minori vincoli sul cliente e l’impresa che realizza l’intervento.
Altro elemento è la visione frammentaria delle misure di stimolo. C’è invece una stretta relazione tra funzionamento dei bonus per l’edilizia e condizioni di accesso al credito. La manovra 2022 prevede la fine della moratoria di Stato sui prestiti senza aver definito una exit strategy dall’emergenza sulla liquidità delle imprese. Si poteva immaginare una uscita differenziata sulla base dell’andamento dei settori (molti sono ancora in sofferenza e con difficoltà di flussi finanziari) e l’introduzione di misure specifiche per la rinegoziazione dei prestiti. Sul fronte finanziario è poco comprensibile la cancellazione delle agevolazioni fiscali per le fusioni bancarie. Il 2022 partiranno gli investimenti previsti dal Pnrr che mobiliteranno anche rilevanti risorse dei privati. Se si riduce il credito non solo si mettono a rischio gli ecobonus ma lo stesso Pnrr.