Elezioni: l’emergenza gas nel tritacarne della campagna elettorale

I prezzi destinati a restare elevati per lungo tempo. Dalla politica sarebbe lecito attendersi qualche slogan in meno e qualche progetto coerente in più

In una campagna elettorale a tratti surreale irrompe l’emergenza energetica con le quotazioni del gas che raggiungono nuovi record e alimentano le preoccupazioni sulla capacità di tenuta di famiglie e imprese.

Se l’estate è stata torrida per la colonnina di mercurio, l’autunno e l’inverno rischiano di essere caldissimi a causa di bollette ormai fuori controllo con impatti pesanti su inflazione e competitività del tessuto produttivo. Che il costo dell’energia abbia superato il livello di guardia lo dimostrano le migliaia di segnalazioni di imprese che stanno ricevendo comunicazioni dai rispettivi fornitori di luce e gas per la disdetta dei contratti sul mercato libero.

Decine di operatori intendono esercitare il diritto di recesso per quei contratti con il prezzo dell’energia bloccato fino a due anni. Negli ultimi giorni le quotazioni del gas hanno superato i 300 euro per MW/h, a fine 2021 viaggiavano a 120-130 euro mentre nella primavera dell’anno scorso erano sotto i 50 euro.

Le ricette dei partiti difettano di chiarezza 

Ridurre il peso delle bollette è diventata la priorità ma le ricette che arrivano da tutte le forze politiche difettano spesso di chiarezza, a volte sono slogan logori (“rilanciamo il nucleare pulito”). C’è un consenso unanime a introdurre un tetto ai prezzi, il cosiddetto price cap.

Le differenze riguardano l’ambito, per PD e Lega prezzi amministrati per un anno a livello nazionale, il resto dei partiti sollecita una misura a livello europeo. Il Governo Draghi si era fatto promotore di un price cap europeo, trovando l’appoggio di Berlino e un tiepido consenso di Parigi ma un esecutivo in carica solo per gli affari correnti non ha più peso specifico per convincere i riottosi paesi del Nord Europa.

E’ evidente che il tetto a livello europeo sarebbe più efficiente e non provocherebbe squilibri sul lato dell’offerta ma nell’eccesso di semplificazione del dibattito in Italia manca un riferimento fondamentale: il price cap si applica al mercato all’ingrosso dell’energia oppure nei confronti dei clienti finali, e cioè famiglie e imprese? La differenza non è banale: nel primo caso infatti occorre assicurare che i produttori trasferiscano i benefici ai consumatori mentre nel secondo il rischio di una misura nazionale è che consistenti volumi di energia vengano dirottati dall’Italia verso altri mercati più remunerativi.

Necessario rivedere i meccanismi di determinazione del prezzo dell’energia

Anche a livello europeo tuttavia andrebbe chiarito a quale passaggio verrebbe introdotto il price cap. Nel mondo ideale la Commissione Europea sarebbe una sorta di acquirente unico (sull’esempio dei vaccini contro il Covid) che rinegozia i contratti con la Russia e gli altri principali produttori ma appare più che irrealistico. Un tetto alle bollette invece pone la questione di come ripartire gli oneri tra gli operatori evitando tensioni sul lato dell’offerta. Rivedere i meccanismi di determinazione del prezzo dell’energia dovrebbe essere all’ordine del giorno. Il sistema è stato concepito per favorire la liberalizzazione del mercato elettrico e svincolare i prezzi dal controllo dei grandi monopolisti pubblici. E’ per questo che progressivamente è aumentato il peso dei mercati spot nella fissazione dei prezzi.

Per due decenni i benefici sono stati consistenti ma nella crisi attuale il riferimento alle quotazioni giornaliere del gas provoca un effetto fortemente distorsivo. Le fonti rinnovabili (che non usano gas) e le centrali alimentate con gas acquistato con contratti a lungo termine incassano un extra di redditività. Secondo alcuni calcoli tra il 2019 e il 2021 la marginalità delle centrali con gas acquistato alle quotazioni del giorno è aumentata del 30%, le rinnovabili hanno registrato un +130% e gli impianti termoelettrici a gas con contratti a lungo di oltre il 560%. Le ultime due non  hanno sopportato l’impennata del prezzo del gas ma ne hanno incassato i benefici.

La proposta di Calenda sulle rinnovabili. Anche se finisse la guerra in Ucraina i prezzi del gas destinati a restare elevati per lungo tempo

Carlo Calenda ha proposto di staccare le rinnovabili dal gas ma si tratta di una risposta parziale e in contrasto con l’architettura dei mercati all’ingrosso dell’energia. In tutta Europa il prezzo all’ingrosso riflette il costo dell’impianto con i costi marginali più alti che entra in funzione in un determinato momento per soddisfare la domanda (cosiddetto System Marginal Price). E quasi sempre è il gas l’unità marginale a fissare il prezzo. Staccare le rinnovabili (che coprono meno del 30% del fabbisogno di elettricità) quindi provocherebbe una ulteriore crescita del prezzo dell’energia da centrali termoelettriche e una riduzione dell’offerta da solare e eolico.

Purtroppo l’Italia sconta alcuni squilibri nel gas e nel settore elettrico. Un livello di oneri generali di sistema tra i più elevati nel continente, sussidi troppo generosi per le rinnovabili e altalenanti riflettendo l’assenza di una politica industriale mirata (un po’ come il Superbonus 110%).

L’auspicio è che non si avveri la previsione del presidente dell’Enea: anche se finisse a giorni la guerra in Ucraina i prezzi del gas sono destinati a restare molto elevati e molto a lungo. Comunque la questione energetica (prezzi, transizione, ridisegno filiere) dominerà i prossimi decenni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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